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 Scintille n.18 dal Perù

 

La passeggiata del giovedì 

 

 

 

 

Era una tradizione nei lontani anni 1954 – 1958 fare la passeggiata a piedi dal seminario di San Pietro in Seveso fino ai boschi dell’Altopiano, sempre e solo di giovedì.

 

Sempre e solo di giovedì si aprono le porte delle Suore di clausura per accogliermi come confessore. Non ci posso andare a piedi perché ci sono 90 chilometri di distanza per arrivare al loro convento nella cittadina di Huaral.

 

Celebro alle 7.30 la Santa Messa nella cattedrale di Huacho, una veloce colazione e via con una moto taxi che per 30 centesimi mi porta in 5 minuti al “terminale terrestre” dei pullman.  C’è solo l’imbarazzo della scelta tra i pullman che vanno in direzione della capitale Lima, devo stare solo attento a non scegliere il più lento e scassato. Si può comprare il giornale o gustarsi un film, quasi sempre violento, trasmesso da due televisori. Il pullman esce dalla città lasciandoti vedere le poverissime case della periferia, appollaiate sulla collina desertica, prima di innestarsi nell’autostrada detta “panamericana”, perché attraversa tutta l’America Latina dal Cile al Messico. Il tratto di oggi è perfetto, direi di buon livello europeo, con tanto di pedaggio da pagare se si vuole continuare, anche perché strade alternative proprio non ci sono.  Percorso ondulato attraverso il deserto per almeno 50 km, con un cartello che ti ricorda che la zona era verde e abitata circa 5000 anni fa. Bandurria è il luogo dove hanno trovato tracce di una civiltà peschiera con un anfiteatro per il culto a pochi metri dall’Oceano Pacifico.  Non c’è tempo per fermarmi, ma non posso non lanciare uno sguardo a una grande baia azzurra chiamata Paradiso, con la sua spiaggia inondata dai preziosi e verdi giunchi. C’è anche un cartello che parla di “Saline” e in realtà dal pullman si vedono strisce bianche, ma non sono mai riuscito ad avvicinarmi e non saprei proprio dire qualcosa.

  

 

Domina ovunque il colore rossiccio del deserto con dune dopo dune, sabbia dopo sabbia e a volte folate di sabbia lanciata sull’autostrada creando pericoli. Ma è proprio vero che il deserto non produce niente?  No, qui è il luogo ideale per l’allevamento di polli a migliaia e migliaia. Dicono che il deserto arido faccia da isolante alle malattie dei polli, tanto che si vedono centinaia di capannoni lunghi 40 metri, realizzati semplicemente con pali piantati nel terreno e una struttura leggera per la copertura fatta di tela bianca tipo sacco. La carne di pollo è fondamentale per l’alimentazione dei peruviani, oltre che servire per l’esportazione.

 

 

Attraversato la zona del “Rio seco” cioè fiume secco, ci sono altri 5 km di deserto prima di vedere apparire il verde. Di giovedì in giovedì ho visto “fiorire il deserto” a piccoli passi: una canalizzazione di acqua dalle montagne, la preparazione dei solchi nel deserto, la semina e a poco a poco ecco spuntare e crescere una piantagione di carote con il loro ciuffo verde che trasmette speranza per una decina di chilometri quadrati.

 

 

Negli ultimi chilometri cambia il panorama con una pianura e il clima è spesso umido con nebbiolina. Siamo nella valle del fiume Chancay con canali di irrigazione che danno vita a campi coltivati di asparagi, patate, mais fino a distese di fiori inondati nella notte dalla luce di potenti riflettori per farli crescere in fretta per i mercati americani e europei!

 

 

E’ ora di scendere e cambiare mezzo per gli ultimi 10 km. Semplicissimo perché al bordo dell’autostrada c’è subito un taxi sempre pronto a schiacciare dentro 4 o 7 persone e portarti velocemente a destinazione. Quasi sempre ho un problema per le mie gambe lunghe che mi costringono a qualche manovra in più con il sorriso benevolo degli altri passeggeri. 

 

Ho solo sfiorato la cittadina di Chancay, ricca di storia e di un porto peschiero, per andare verso le montagne dove si trova Huaral, cittadina del commercio agricolo con una forte immigrazione giapponese del secolo scorso. La macchina passa attraverso una zona agricola con uomini e donne che sudano per mantenere la loro famiglia zappando, strappando erba, concimando, raccogliendo patate o mandarini dall’alba al tramonto, con pochi mezzi meccanici moderni. Un grande cartello pubblicitario dice: ” Benvenuti a Huaral” con alle spalle tre grandi archi in cemento armato che ti accolgono. Sono arrivato, scendo con manovre dalla macchina, attraverso la strada ed entro nel Convento ben sapendo che le Suore già mi aspettano. 

Entrata in Huaral

Bandurria:  scavi archeologici

Baia Paradiso

Rio Chancay


 

 

 

 

 

 

Periferia della città

 

 

Un tuffo nel silenzio con 7 suore in preghiera  

Il silenzio ovatta con le sue ali la Cappella di San Martino di Porres dove sta una suora vestita di bianco in ginocchio davanti all’Ostia consacrata del Santissimo. Tra me e lei ci sta un’inferriata, non si passa, non si disturba il colloquio intimo tra i due innamorati: la suora e Gesù. Esco in punta di piedi dalla Cappella e suono il campanello poco sotto la scritta: “ Dio abita in ogni angolo di questa casa”. Un minuto di attesa e poi da una fessura esce una voce che mi saluta: “Ben arrivato padre, ora le dò la chiave e suono la campana per avvisare tutte le suore”.  Sento lo scricchiolio di una bussola metallica che ruota ed ecco fermarsi davanti a me la chiave del parlatorio. La prendo, apro una porta e mi trovo in un locale diviso in due, una parte per me e la seconda per chi vuole parlare o confessarsi guardandosi attraverso due inferriate a maglie disuguali a mezzo metro di distanza tra di loro. Un tavolo e una sedia per parte, tutto in un palpabile clima di silenzio religioso. Arriva una suora, con un sorriso semplice e vero, saluta e mi passa la stola viola attraverso un'altra bussola girevole. Così inizia la Confessione con l’ascolto dei peccati – meglio direi imperfezioni - delle sette suore che vivono in questo convento di clausura. Ma qui scende il mio silenzio che in termini tecnici si dice “segreto inviolabile” del Sacramento della penitenza. Tutto avviene con calma e serenità con i toni di quella fede che ci ha fatti arrivare fin qui da 6 angoli diversi del mondo. Alzo la mia mano con tremore (meglio dico la ‘Sua’ mano) per assolvere, prima del saluto finale quando la suora allunga la sua mano raggiungendo la mia oltre le due inferriate. Al termine i miei occhi sono un poco stanchi, costretti come sono a guardare al volto della penitente attraverso quadratini di 7 e 12 centimetri di larghezza. Riconsegno la stola e la chiave, sempre attraverso la bussola rotante, di solito dopo una breve conversazione con la Superiora. Torno nella Cappella a salutare Gesù, ammirando la suora che continua l’adorazione e poi ricomincio l’alternanza di mezzi per raggiungere Huacho verso le 13,30.

 

Quasi dimenticavo di dire che una volta al mese la sosta è più lunga perché c’è anche la predica per un mini-ritiro. Predicare alle suore non mi era mai capitato, come faccio? I consigli di mia sorella suor Dalmazia, nella sua visita dello scorso anno, mi hanno aiutato a “buttarmi”, prima con gli spunti del Congresso Missionario di Quito e poi con l’avventura umana e cristiana di san Paolo. In questa occasione mi aprono il cancello interno della cappella e mi metto davanti a tutte e sette le suore con l’impegno di non farle addormentare con le mie prediche. Non sempre sono riuscito in questo, forse anche per colpa loro che fanno l’adorazione anche di notte per un’ora e mezza. 

      

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Suor Sonia

Suor Veronica

Ma chi sono queste Suore?

Nessun segreto di confessionale violato per dire che sono arrivate in Diocesi un anno fa, in cerca di un posto dove pregare giorno e notte come Schiave del Santissimo Sacramento e dell’Immacolata. Il Vescovo ha detto: “ Va’ bene, era anche un mio sogno, fermatevi, un posto lo troveremo”. Dicono che dal cielo ci abbia messo lo zampino nientemeno che San Martino di Porres che ha indicato una delle “sue” cappelle nella cittadina di Huaral. Tanti lavori per adattare i locali, con inevitabili contrattempi, fino ad arrivare a chiudere tutti gli spazi, secondo i sacri canoni dei conventi di Clausura in tutto il mondo. Non entra più nessuno perché tutta l’attenzione va’ a Gesù il Padrone di casa da adorare da parte di ciascuna suora per tre ore al giorno. Resta spazio per mangiare, dormire, dire qualche parolina e soprattutto vivere in silenzio e serenità.

 E’ proibito fotografarle. 
Sono in sette, dai venti ai sessant’anni provenienti da Spagna, Portorico, Messico, Argentina e Perù.

La Congregazione di queste Schiave è nata in Spagna nel 1944, al termine della guerra civile. L’Eucaristia e l’Immacolata formano il loro carisma che ottiene l’approvazione pontificia nel 1989. Stanno camminando per le vie del mondo, solo per potersi mettere in ginocchio a servizio del Regno di Dio. L’alberello trapiantato da poco in Perù sta crescendo, grazie anche al sorriso di ogni suora.

La domanda più normale è: “Ma che ci fanno in missione e perché stanno chiuse dentro e non vanno tra i bambini poveri?” Personalmente la mia risposta me la sono data, la passeggiata di quasi 200 km. del giovedì mi fa bene anche dal punto di vista strettamente missionario. Ognuno esprima la sua lasciando parlare la fede più che la ragione.  

 

La fondatrice R. M. María Rosario del Espíritu Santo 

(Lucas Burgos) en 1944, en Málaga

 

 

 

E’ apparsa la Madonna a pochi metri da casa?

Questa è la notizia del giorno: “E’ apparsa la Madonna venerdì 29 maggio alle 10 nella zona chiamata 18 ottobre”. Tra le reazioni a caldo si va’ da chi vuole correre a vedere e già crede in cuor suo, a chi scoppia in una risata sarcastica. Subito non sono andato, ma oggi 3 giugno ho detto a un moto taxista: “Portami dove si vede la Madonna” e dopo tre minuti mi sono messo anch’io a guardare su verso una vetrata del primo piano di una moderna casetta. “Padre, cosa vede, è la Madonna, che dice la Bibbia, è buon segno o no?” In silenzio cerco di puntare gli occhi solo verso l’alto, spostandomi in due o tre posizioni diverse, per notare che effettivamente sembra che ci sia una figura di donna con un lungo manto scuro, una faccia serena e un braccio alzato come per sostenere qualcosa o qualcuno. Tutto lì, semplicemente. Mi da’ pace e serenità il solo pensare che possa essere davvero la Mamma del cielo che si fa’ vicina a noi. La Madonna può fare tutto ciò che vuole, è apparsa tante volte in maniera cosi diversa lungo i secoli, e perché non potrebbe farsi presente anche a Huacho a 300 metri da casa mia? Scatto qualche foto ( con risultati nebbiosi) e poi parlo con il padrone di casa, un signore sulla cinquantina distinto e cordiale.

“Padre, è da venerdì mattina che nella stanza di mio nipote di 10 anni è apparsa questa pittura sul vetro, non è certo opera mia, io vendo caramelle… Da dentro non si vede niente, solo da fuori e non si cancella. La gente continua a venire, chi guarda in su poi si mette a pregare. Padre, che Madonna è, cosa vuole dirci?” Con semplicità prego anch’io con una decina di persone, tra cui una giovane donna con il suo bambino. Guardo ai due e poi ripunto gli occhi verso l’alto verso l’altra Mamma, mi sembrano uguali, stesso amore e stessa tenerezza di Mamma verso noi i suoi figli.  

Giugno, il mese di uno dei miei onomastici, il giorno 13 con Sant’Antonio di Padova.

Giugno, il mese della mia nascita sacerdotale, il giorno 27 del 1964 nel Duomo di Milano.

Giugno, il mese per festeggiare 45 anni di  Messa, domenica 28 giugno alle 18.30 nella Cattedrale di Huacho. Ricordarsi del fuso orario, qui siamo sette ore in ritardo. 

Tutti invitati attorno all’altare, c’è lo stesso calice della Prima Messa a Casatenovo, calice che ha camminato con me in tre continenti: Europa, Africa e America. Diamo grazie al Signore. 

Don Antonio Colombo 

Huacho 3 giugno 2007