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| Ho visto don Antonio... 
 Lunedì 25 agosto 2008, l’incontro 
 Dopo 15 giorni a Quito, capitale dell’Ecuador, per il Terzo Congresso missionario americano, si realizza il mio sogno familiare: vedere don Antonio nella sua nuova casa in Perù. 
 Il 25 settembre 2008, alle 9,30, l'aereo decollato a Quito, capitale dell'Ecuador, atterrava a Lima, capitale del Perù. Due ore sorvolando le Ande contemplando un panorama da mozzafiato: cime coperte di neve, fiumi che scorrevano in picchiata, poi tracciati di sentieri o di piste carrabili, forse su pareti brulle, certamente fino oltre i cinquemila metri di altitudine. Poi improvvisamente il pilota annuncia che si inizia l'atterraggio verso Lima ed eccoci piombare in un "mondo" di nebbia, nebbia da pianura padana con l'aereo che continua a scendere. Una specie di brivido ci coglie: ma dove scendiamo? Cosa c'è sotto di noi? Più si scende, più si ha l'impressione di penetrare nella notte. Improvvisamente uno squarcio: vedo qualcosa di scuro su una pianura nuda. Dico alla mia consorella Suor Maria Luisa Casiraghi: "alberi", ci sono degli alberi. Lei scruta e risponde: "Sono pescherecci"… Ma e la pista? Scopriremo il giorno dopo che gli "alberi" erano realmente pescherecci ancorati nel porto di Lima, in attesa che l'oceano Pacifico lo fosse di nome e di fatto! Ancora banchi di nebbia, poi all'improvviso sentiamo di essere atterrati e lodiamo Dio. Lo sbarco, l'arrivo dei bagagli, il superamento delle dogane fu rapido ed eccoci all'uscita. Un attimo di ricerca fra le persone in attesa ed ecco il Don, sì, proprio don Antonio Colombo, mio fratello, missionario da otto mesi in Perù. Un abbraccio
        commosso, la presentazione dell'autista Pablo che ci avrebbe portato a
        Huacho con il fuoristrada della diocesi e via verso casa. Lima: 14 milioni di abitanti, situata lungo la costa del pacifico, in zona desertica… Queste le prime notizie ricevute, mentre ci allontaniamo dall'aeroporto ed incontriamo le prime "Api - taxi", ossia la famosa, o imitazione, moto Piaggio a triciclo, dotate di una carrozzeria con sedile posteriore per passeggeri. Pochi minuti di viaggio verso Huacho ed ecco quella che a noi sembra una "favela" anche se non ha l'aspetto di agglomerato come quelle di Rio de Janeiro. Pablo invitato da don Antonio spiega: "Sono "Asientamentos", terre occupate dalle migrazioni interne". Notiamo che su diverse case sventola la bandiera bianco rossa del Perù. Non un caso isolato e su casupole basse, su autentiche povere piccole baracche monofamiliari, costruite di mattoni crudi, tetto a terrazza, senza spiovente né tettoia (una semplice stuoia, ci viene detto, perché a Lima non piove quasi mai, come a Huacho…) Veramente a me sembra che pioviggini… Per tutta risposta mi viene detto che, non piove, ma "serena", è la coltre di nebbia che si sta alzando, e "ci saluta", penso io. Il traffico è intenso, ma non caotico. Abbiamo scantonata la metropoli e si continua fra due ali di "asientamentos" con le loro casette ben allineate seguendo tracciati di strade, qualche edificio in muratura, le bandiere, la rete elettrica… Il tutto è ben visibile perché il terreno è ondulato, collinoso. Ma come avvengono questi insediamenti? L'occasione per rispondere a questo interrogativo non espresso, viene da Pablo che (parla spagnolo, ma lo capiamo benissimo: da 15 giorni non sentiamo che questa lingua) indica con un nome la zona che stiamo attraversando. Un nome, maschile, poi un altro femminile, che a noi non dice niente, ma che è importante per capire il processo usato in Perù per occupare, lo vedremo poi, anche zone desertiche, trasformandole in centri abitati. Il nome maschile è quello di Fujimori, l'ex Presidente della repubblica e quello femminile è di sua figlia. Questo per dire a chi comanda e vorrebbe con la forza cacciare gli intrusi che di notte, in forte gruppo, hanno occupato la terra, piantato tende di stuoie come i nomadi del deserto, issato bandiere peruviane: "Non siamo illegali. Siamo cittadini peruviani, la bandiera nazionale prova la nostra sottomissione alla legge e il nome dell'insediamento onora l'autorità legittima". E, se questo non bastasse, come avviene qualche volta, il popolo dei poveri affronta le teste di cuoio mettendo in prima fila la statua della Madonna e nessun soldato ha mai osato sparare. Ma mentre si parla e si guarda abbiamo percorso diversi chilometri ed arriviamo a un casello stradale che ci immette nella Panamericana, una bellissima autostrada che collega diversi paesi dell'America Latina (dall'Ecuador avremmo potuto arrivare in pulman). Ma a stupirci non sono i Tir che passano veloci, né le corriere, ma il paesaggio che sta diventando brullo, sempre più brullo: siamo nel deserto. Un vero deserto, fatto di sabbia, di dune, di montagne senza un filo d'erba, né un albero spinoso, … Suor Maria Luisa ed io ci guardiamo: non riusciamo a credere ai nostri occhi. Eppure l'anno scorso eravamo state nella zona desertica del Nord del Kenya. Ma nel Chale vi era il sole, qualche cespuglio spuntava qua e là, qualche cammello spuntava all'improvviso. Qui ci accompagnano la nebbia "padana", catene di monti nudi di vegetazione e questo per chilometri e chilometri. Poi, improvvisamente, il verde con coltivazioni ordinatissime. Non sono un miraggio, ma il "terzo" tipo di oasi del deserto, quello creato dal corso di un fiume! Infatti ci sono almeno tre tipi di oasi: quelle tipico del Sahara con le palme attorno a pozzi o paludi, quelle montagnose del Nord del Kenya che abbiamo visto nelle missioni di Maralal e a Marsabit, e queste formate dai torrenti d'acqua che vengono dai 5.000 metri delle Ande. Cammina, cammina ed ecco che ci sembra di vedere in questo deserto delle serre di fiori, o di ortaggi, o comunque capannoni. Niente di tutto questo: sono allevamenti di polli. Sì il deserto, questo deserto solcato dalla Panamericana a quattro corsie, è il posto ideale per allevare polli, e fornire il Paese di carne a prezzo accessibile al popolo. Infatti il terreno è tanto sterile e inospitale che neanche i virus della malattia dei polli può sopravvivere, per cui le spese di allevamento sono ridotte, i polli crescono in fretta, sani - grazie al mangime fatto a base di crusca di riso e farina di pesce - e tanto saporiti in pentola da sembrare "nostrani". Ci avviciniamo a Huacho che si trova a 150 chilometri da Lima verso le 11,30. Don Antonio ci dice di guardare a sinistra verso l'oceano. Con un po' di fede e forzando la vista vediamo che davvero nel vicino orizzonte si stende il Pacifico, ma ha il colore del cielo e del deserto, non l'azzurro del Mediterraneo e molto meno quello dell'Oceano Indiano che conosciamo, ma… paese che vai, usanza e clima e terra e mare che trovi! Entrando in città, lo spettacolo continua. Centinaia e centinaia, non esagero, di "Ape - taxi" si muovano come in un alveare, si fermano un attimo per scaricare un passeggero o per accoglierlo e riprendono il cammino; anche da macchine abbastanza malconce scendono e salgono passeggeri, senza intralciare il traffico che scorre in ordine sparso tra file di negozietti, gente che va a piedi, che si ferma ai chioschi. Finalmente ci fermiamo e anche noi scendiamo davanti alla cattedrale di Huacho. Il Don incontra una persona e poi un'altra e a tutti ci presenta ( lui chiama già tutti per nome) e tutti lo salutano felici di vederlo. Ci presenta me come sorella di sangue e la mia compagna come consorella suora, entrambe missionarie in Africa: Mozambico e Etiopia. Così farà centinaia di volte nella settimana che siamo state con lui. Siamo un po' spaesate, ma lo seguiamo tranquille. Entriamo in Curia, il don bussa a una porta che si apre e ci troviamo davanti tre o quattro sacerdoti dai tipici tratti somatici peruviani che ci accolgono festosi. Sono in riunione, ci dovrebbe essere anche il vescovo. Non c'è, è uscito un momento. C'è il suo telefonino sul tavolo. Sarà fuori. Ogni ricerca è vana. Non c'è alla "Caritas", né nell'ufficio dei Diritti Umani, né in alcun posto. Intanto zigzaghiamo fra un atrio e l'altro, un cortiletto e un altro incontrando persone, ripetendo la cerimonia di presentazione nostra a loro e loro a noi. Incontriamo… come ricordare tutti? Monsignor Antonio ( si chiama proprio così) è irreperibile e allora saliamo di nuova in macchina e andiamo alla casa parrocchiale del Divin Maestro dei sacerdoti milanesi dove abita anche don Antonio e che ci ospita. È una casa bassa come tutte le altre, solo piano terra, con tetto a terrazza. Tutto minuscolo. All'interno vi è uno spazio quadrato, metà porticato con un lungo tavolo e banchi, l'altra metà a giardinetto dove cercano il sole una palma, un banano, un geranio, qualche altro ciuffo di fiori. Mentre siamo a tavola, alle 13,30, sotto il portico, fanno capolino don Ambrogio che è in partenza per le vacanze e don Orazio che anche lui non si ferma perché pranzerà con un gruppo di giovani milanesi in "vacanza alternativa". Ci serve e mangia con noi la signora Carmen, la colf, una donna squisita dalla quale, in questi giorni impareremo tante cose sul Perù, usi costumi, geografia, storia, religiosità e produzione agricola. Così è trascorsa la prima mattinata peruviana, non la prima giornata, inteso! 
 Nel primo pomeriggio, dopo un breve riposo, don Antonio ci porta a visitare la parrocchia del Divin Maestro che si trova a pochi passi da casa. Sul piazzale antistante qualche ragazzino gioca al pallone: il don li saluta e rispedisce loro con uno dei suoi tiri magistrali, il pallone che, guarda caso era finito fra i suoi piedi. In un quadrato interno del cortile una signora dal volto bruciato dal sole, sta bagnando il prato di gramigna. Presentazioni reciproche: lei è Rosita, io la hermana di sangue, missionaria…. E così sarà in questi giorni, tante e tante volte suscitando gioia e commozione. Proseguendo la visita entriamo nello studio tecnico dove va in "onda" il sito informatico www. huacho.info Ci riceve con grande entusiasmo William Ñaupari il tecnico - registra e scattano le prime foto, il primo annottare dei nostri nomi, la gioia di vedere come la Chiesa sia viva in ogni angolo della terra. Nello studio ci sono due computer: in uno lavorano due ragazze, studentesse di informatica che si addestrano nell'arte di comunicare in rete. La chiesa è chiusa, il don non ha le chiavi. Sarà per un'altra volta. Usciamo, forse verso le 17. Dobbiamo andare dal Vescovo e in Cattedrale. Appena arrivato in strada, incrociamo le "api" che fanno subito l'occhiolino al potenziale e conosciuto cliente. A noi due viene il batticuore. Siamo assicurate? Ci sono i taxi "veri"? Non ne vediamo. Quito era pieno di taxi gialli, ma qui neanche l'ombra. Ma, un attimo dopo don Antonio fa cenno ad una macchina che a noi sembra una qualunque scassata macchina, invece è un taxi… e vi saliamo. Il conduttore appiccica un adesivo sul vetro con scritto Taxi e si parte in direzione all'episcopio. Qui ci riceve con molta, molta cordialità mons. Antonio Santarsiero. Ci chiede del viaggio, a che ora eravamo arrivati da Lima. Prima di mezzogiorno, l'avevamo cercato in curia, ma era sparito nel nulla e nessuno riuscì a scoprire dov'era Monsignore! Il prelato fa un sorriso e risponde: "Antonio, non vedi come sono ordinato: sono stato a tagliare i capelli dal parrucchiere". Ci troviamo assolutamente a nostro agio: un vescovo missionario è una cosa meravigliosa. Senza cerimonie programma un viaggio missionario a Acos sulle Ande per mercoledì 27 e ci invita a pranzo domani, esprimendo un desiderio: mangiare un piatto di risotto alla milanese, un sogno che culla da vent'anni! Certo che possiamo accontentarlo: abbiamo portato lo zafferano, il vino non manca, né la cipolla e i dati o la carne per il brodo, ma il riso… che riso abbiamo a disposizione? Andiamo insieme in cucina. Il riso non è il vialone panciuto, ma una "risella" magra, magra. Ma niente paura: cercheremo nel supermercato e così facciamo. Un taxi ci porta nella zona commerciale dove troviamo un riso che ci ispira fiducia, poi andiamo alla Cattedrale dove alle 19,30 il don celebrerà la Messa. La Cattedrale profuma di "fresco". Infatti è appena stata rimessa in sesto per il Cinquantesimo di creazione della Diocesi. L'edificio invece risale a non so quanti secoli fa, ma non ha più la maestosità delle origine perché un terremoto, o certamente più di uno, hanno distrutto l'imponente facciata, fatto crollare il campanile e le torri… Ma, come dicevo, è stata messa a nuovo, tinteggiata e arricchita con la cappella dell'adorazione perpetua del Santissimo Sacramento esposto. 
 Queste notizie ce le dice il don, mentre entriamo in Chiesa che descriverò in seguito perché è tutta una sorpresa per noi. Suor Maria Luisa ed io prendiamo posto nel primo banco, non senza essere state presentate, abbracciate, ricevuto il benvenuto da diverse persone e poi presentate a fine Messa all'assemblea, fatto che ha provocato tanti inviti: dalle suore che vivono nell'Asientamento, quelle che assistono gli handicappati, la signora responsabili dei "botteghini" di medicinali parrocchiali, del "comedor"… Non è che capiamo molto, ma don Antonio dice di sì a tutti, e a noi va benissimo. Un altro taxi ci porta al Divin Maestro, la chiesa è aperta e dall'interno arrivano dei suoni. Senza indugio siamo trascinate verso il punto luminoso: troviamo un gruppo corale, che fa prove di canto. E' un gruppo misto: ragazzi e ragazze peruviane e milanesi, una suora italiana di Parma e don Orazio. Ci felicitiamo per la gioia dell'incontro e finalmente rientriamo per la cena: sono le 20,30! 
 A dire il vero non ricordo bene come sia andata poi la serata. Forse abbiamo telefonato in Italia per dire che eravamo a Huacho… ma verso le 22 eravamo già a letto sapendo che alle 7,15 del mattino seguente dovevamo essere in piedi per andare in Cattedrale per la Messa. Prima di addormentarci, suor Maria Luisa ed io ci scambiamo qualche battuta: quante emozioni e che bello trovarci al calduccio sotto le coperte, nella cameretta dal basso soffitto con le canne di bambù a vista. Grazie Signore, di tutto, di tutto. Huacho, 26 agosto 2008 Alle
        7,15 usciamo puntuali di casa e dopo quattro passi, davanti all'Ospedale
        troviamo il taxi che ci porta in cattedrale. Entriamo in chiesa e, prima
        di prendere posto nei banchi e il don di andare in sacrestia passiamo
        nella cappella dell'Adorazione. Con 
        grande sorpresa troviamo diverse persone 
        raccolte in adorazione. Sono certamente fedeli che sostano pochi
        minuti in preghiera prima di andare al lavoro. Infatti c'è un
        silenzioso movimento di adoratori che entrano e escono: una cosa che
        commuove. La
        cappella è essenziale. Sul fondo campeggia l'ostensorio poggiato su una
        nicchia quadrata protetta da una porta di vetro, due bellissimi mazzi di
        fiori sul pavimento e , fra uno e l'altro, un tavolino porta rivista. Don
        Antonio, che ha avuto parte nell'ideare questo angolo per l'Eucaristia,
        ci dice che si è ispirato allo stile della casa moderna incontrata su
        una rivista specialistica dove il centro della sala è orientato al
        riquadro creato nella parete centrale per riporvi la televisione. Qui,
        questo posto d'onore è riservato a 
        Gesù sacramentato! 
 La
        Messa ha un tocco di solennità per la presenza di tre diaconi, tre
        giovani teologi della diocesi che da poco hanno ricevuto il diaconato e
        che l'anno prossimo saranno ordinati sacerdoti. A loro fare le letture
        ed anche la piccola omelia. In chiesa c'è un discreto numero di fedeli.
         Dopo
        la colazione, nella casa della cattedrale, visitiamo il "botteghino
        delle medicine" che è la sede centrale delle minifarmacie per i
        poveri che troveremo anche in altre parrocchie, dove si alternano
        volontari - farmacisti, ma anche medici e dentisti nel dispensario
        annesso - per l'assistenza ai più poveri fra i poveri. Le medicine sono
        cedute a prezzo simbolico, e l'assistenza pure. Guardo con occhio
        "esperto" il tutto, e godo perché nello scaffale ci sono
        davvero tutte le medicine essenziali per bambini e pazienti adulti. La
        signora che ci accoglie 
        è poi di una gentilezza squisita. Da lì passiamo al "Comedor",
        ossia alla mensa dei poveri dove il fuoco è già acceso e qualcosa
        bolle in pentola. Come
        ambiente non è gran che: sembra quasi un budello di spazio, ma profuma
        di pulito perché le pareti sono state tinteggiate da poco, sui tavoli
        ci sono tovaglie nuove di plastica… Le cuoche e l'aiutante ci vengono
        incontro sorridenti. Il don li interroga. Va tutto bene? E guarda con
        occhio critico. L'architetto è venuto? Funziona questo o quello... E,
        il personale, quasi incredulo di tanta attenzione, timidamente spiega
        che sì, questo e quello è stato aggiustato, che gli ospiti (una
        settantina che si alternano dalle 11,30 alle 14, sono felici del
        sentirsi accolti ORA in un ambiente tanto bello, ma… ecco un lavandino
        si ottura sempre… il congelatore non congela…. "Parlate con
        Tizio, con Caio, risponde il don, poi verrò a vedere e verrà anche
        l'architetto. Ma
        questo architetto dovrebbe già essere qui. Lui lo chiede a tutti, ma
        nessuno l'ha visto… Si farà trovare in pomeriggio. Era andato a Lima
        per non so acquistare un apparecchio per gli altoparlanti della
        cattedrale con l'ordine di trovarne di buoni e non made in Cina. Ricerca
        risultata inutile. Anche nel negozio dei giapponesi di Lima, dirà poi
        l'architetto, tutto è cinese. Passiamo
        da un ambiente all'altro con una certa fretta, soprattutto quando le
        persone vogliono dirci che la situazione è migliorata 
        per l'intervento del Don, lui ci trascina fuori, l'importante per
        lui è che le cose siano fatte bene e si sa, non gli sfugge neanche una
        virgola. Sono
        passate le 9 quando ci rimettiamo in taxi verso casa. Oggi è la
        Giornata dell'Anziano e lui, il Don, deve andare a benedire… non
        capiamo chi e dove. Lo vedremo tra poco. Noi pensiamo che per le 
        11 dobbiamo tornare andare a fare il risotto alla milanese per il
        vescovo… Alle
        10 in punto don Antonio ci strappa da casa e ci porta verso l'ospedale
        che si trova a quattro passi. Riso, zafferano e dadi sono già in borsa.
        Arrivati alla cancellata, del grande ospedale, mentre è indeciso se
        spedirci o portarci dentro temendo che non ci sia ancora nessuno per la
        cerimonia, gli uscieri gli dicono che lo stanno aspettando; gli anziani,
        erano già rientrati dalla sfilata lungo le vie di Huacho… Felice e
        sorpreso per tanta puntualità, il Don ci trascina dentro con grande
        rammarico del taxista che sperava di avere clienti. Cosa vediamo? Sul
        grande spazio dove forse stazionano le autoambulanze sono stati piantati
        dei tendoni. Tutto è imbandierato e ci sono striscioni cubitali da ogni
        parte, fotografi, microfoni e… noi sulla tribuna d'onore. Ci sediamo.
        Un coro canta. Don Antonio veste il camice, mette la stola, posiziona
        l'aspersorio per la benedizione e si siede. Mi sussurra: "Preparati 
        a dire sull'Africa, sugli anziani…". Guardo, mentre mi
        spremo le meningi per scovare nella mia mente qualche cosa di
        significativo pescando nel mio mondo mozambicano. Uno dopo l'altro
        scarto le ipotesi che trovo luogo comune, poi una luce si accende. Forse
        il mio viso si illumina e lui si accorge. "Sei pronta?",
        chiede. "Sì". Intanto si era fatto silenzio. Il Don esordisce
        dicendo che anche noi tre apparteniamo alla "Età maggiore"
        come si dice in Perù delle persone anziane. Maggiori, lui, e la sua
        hermana madre Dalmazia e la madre Maria Luisa… missionarie d'Africa,
        in Mozambico ed Etiopia. Tutti ci guardano, applaudano. Non ricordo
        cos'altro abbia detto. Poi venne la mia volta. Parlai in portoghese,
        anche se seguita da traduzione perché l'affinità del castigliano con
        il lusitano permette di seguire il filo del discorso. Racconto 
        dell'incontro di un anziano papà con il figlio che aveva
        trascorso 10 anni all'estero. Di come, nell'intimità l' "uomo
        maggiore" ascoltava il giovane figlio narrare le sue vicende con
        attenzione e partecipazione. Poi riferii il momento toccante in cui il
        vecchio Valerio all'udire che la sua creatura era stata nella Terra Santa esclamò: "Figlio i tuoi occhi hanno visto dove ha vissuto
        Gesù? Ecco ora i miei occhi 
        attraverso te vedono la Terra santa: sia benedetto il
        Signore" e volle ritirarsi per assaporare quella visione.  Dopo
        altri interventi, la benedizione, arrivano le alte autorità
        provinciali: è un sollievo perché possiamo ceder loro il palco e, dopo
        poco, don Antonio si congeda riferendo che ha un appuntamento con il
        Vescovo, ma non corriamo in vescovado. Il taxi riceve l’ordine di
        portarci alla tipografia dove si deve stampare l’edizione spagnola di
        “Economia Domestica”. Arriviamo. Il tipografo mostra la bozza. Io
        sto in silenzio, ma suor Maria Luisa che è la direttrice di “Andare
        alle genti” con il don da esperti guardano, controllano, indicano
        correzioni… poi la sentenza: per sabato a mezzogiorno devono essere
        pronte le prime 300 copie. Il tipografo si schernisce: impossibile, ha
        molto lavoro, non può far lavorare le macchine anche 
        di notte… Don Antonio senza replicare, né lasciarsi intimorire
        tira dalla tasca una busca e la consegna. L’uomo la apre ed ecco
        apparire un mazzetto di banconote. In silenzio le conta, le riconta ed
        esclama: “Ma sono il pagamento totale!”. “Certo, è la risposta e
        sabato mezzogiorno lavoro completo”. E così fu. Alle 12,30 del sabato
        il don arrivò con un’ “Ape” carica di scatoloni. Non
        descrivo l’emozione di cucinare il risotto alla milanese, la paura che
        non venisse buono, la gioia di sentirlo “milanese” e di servirlo a
        tavola fumante per la gioia incredibile del vescovo che quasi non
        credeva ai suoi occhi.  L’indomani,
        però, sarebbe stato lui il cuoco, su in montagna dove andremo in visita
        pastorale. Il suo piatto: spaghetti, olio, aglio, peperoncino a ricordo
        delle sue origini italiane. Ebbene
        alle  16
        siamo pronte e via. Dove? Verso la periferia in uno dei quartieri degli
        “Asientados” dove lavorano due “suorine” peruviane, una di
        discendenza spagnola ed una 
        india. Un dieci minuti di taxi e ci siamo. Le suore, nella
        casupola che non si distingue dalle altre, non ci sono. Ci dicono che
        sono nella cappella per la Festa degli anziani. Ci avviamo a piedi,
        respirando terra, guardando con sguardo sofferto, ma anche con speranza
        le case poste ordinatamente 
        lungo strade larghe, i pali della luce… C’è poco movimento:
        la gente è al lavoro, i bambini ancora a scuola. Arriviamo alla chiesa:
        una bella costruzione ampia. Ma 
        ci illudiamo se pensiamo di entrare in chiesa a pregare. Nella
        cappella si stanno festeggiando gli anziani, seduti faccia faccia lungo
        due file di banchi, rallegrati dalla chitarra e dalla voce 
        limpidissima di uno di loro. Entriamo, siamo accolti con gioia,
        prendiamo posto, ascoltiamo i canti. La suora invita anche a ballare…
        ci provo anch’io… è la festa degli Anziani. Viene servito un
        bicchiere di latte e cioccolato, un grosso pane presi con tanta
        devozione.  
 
 Guardo
        quei volti: simili per le rughe, ma molto diversi nelle fattezze.
        Infatti alla presentazione di ognuno (una trentina) si scopre l’afro
        discendente, l’indio di una valle del nord, un altro della valle del
        sud: misti con spagnoli, con cinesi… E ognuno con un mare di ricordi,
        musiche diverse… La sezione termina con il “Padre Nuestro” la
        benedizione del don e un abbraccio. Si
        ritorna sui nostri passi. C’è più movimento per le strade e davanti
        alla casa delle Piccole Suore di Foucauld un gruppo di ragazze gioca a
        pallavolo con una rete che attraversa da un capo all’altro la strada.
        Salutiamo, entriamo nella minuscola casa. Un armadio si apre: è il
        “botteghino delle medicine”; una minuscola porta ci porta in un
        angolo di casa (misure da gnomi) trasformato in cappella con Gesù nel
        tabernacolo. Uno dei problemi maggiori è l’acqua che si deve
        comperare dall’autobotte e costa… Nessuna goccia è sprecata, per
        cui, fuori casa, protetto da una rete, un giardinetto largo un metro che
        rende civettuola la casa delle suore, ma anche di qualche vicina che ha
        scoperto da loro come si può far fiorire il deserto… Se
        pensiamo che fra qualche momento ci si alza e si va sulla strada ad
        aspettare il taxi, siamo proprio fuori onda. Si deve andare a vedere il
        “Comedor” la famosa mensa dei poveri che non può starci in un
        armadio, naturalmente. Fuori
        le ragazze hanno terminato di giocare, e stanche 
        e sudate sono sedute sul ciglio della strada. Al saluto, una
        birichina mormora: “aranciata…” . Eh sì, se la sono meritata,
        dice il don ed ecco che spuntano dalla sua tasca due o tre monete per
        una bottiglia di aranciata… E’ la festa anche dei giovani… Calcolando
        che la chiesa era a cento metri, pensavo che il comedor fosse al massimo
        a 200. Invece! Cammina, cammina, su e giù per una strada che non finiva
        mai, con accanto la suora più anziana che mi pregava di andare adagio
        perché lei è malata di cuore e se corre… Forse dopo una mezz'oretta
        arriviamo. Il comedor è un ampio locale nuovo. La suora ci dice: “Se
        non fosse per don Antonio… sarebbe ancora… i bambini siederebbero in
        terra…”. Vorrebbe raccontare, raccontare, ma mio fratello taglia
        corto: “Basta con questa litania. Piuttosto i banchi sono sufficienti,
        quanti vengono, 
        cosa mangiano i bambini… Ecco, risponde: “Bastano, perché i
        bambini sono un centinaio, ma non vengono insieme. Si comincia 
        alle sei del mattino per la colazione per i bambini del primo
        turno di scuola e si finisce verso le dieci per quelli che vanno al
        pomeriggio. Poi a mezzogiorno c’è il pranzo per i primi e l’ultima
        mensa è alle 4 del pomeriggio”. Poi alla sera c’è la scuola 
        per adulti, scuola di religione e non so che altro… Si commuove
        la suora raccontando che ha visto rinascere la vita nei bambini mal
        nutriti, diventare vivaci e interessati ed ottimi studenti  ed
        altri perché non si addormentano più di fame sui banchi di scuola. Una
        scuola che è a un’ora e più da lì, strada da percorrere a piedi… Come
        provvede? E battendo ora una porta, ora un’altra nei negozi. Chi le
        dà un sacco di riso, chi farina, pesce… La pulizia 
        è curata dalle mamme del posto a turno… i lavoratori della
        baraccopoli sono soprattutto braccianti agricoli. A volte ricevono gli
        scarti e lo condividono con loro…. Si
        è fatto buio. Alle 19 e 30 il comedor diventerà scuola. Gli alunni
        sono lavoratori che tornano dalla città e passano subito in classe e
        allora per loro ci sarà una tazza di tè fatto di erbe e un piccolo
        pane… Arriviamo
        in cattedrale che la messa delle serale è quasi terminata. Don Antonio
        si mette vicino al confessionale e subito appare qualche penitente. Alle
        20,30 cena nella casa del Divin Maestro dove sorridente ci attende la
        signora Carmen che ha già preparato cena e tavola. A nanna presto, perché domani si va in alta montagna con monsignor Antonio. In camera ci chiediamo. Come vestirci? Se qui fa freddo, chissà in montagna… Meno male che abbiamo maglioni e giacca a vento e felpa… Non servirà niente, ma questa è un’altra storia. Ho visto il Don…  Mercoledì
        27 agosto 2008 verso le Ande Oggi per tutta la famiglia Colombo, per l' "arcadinoè" è un giorno molto caro perché compleanno di mamma Giuditta che nel cielo compie 101 anni.  Noi
        "peruviani" iniziamo la giornata dirigendoci verso Acos sul
        fuoristrada guidato da Pablo, con accanto monsignore e noi tre sul
        sedile posteriore. Di Acos so solo che è in montagna e che ci vogliono
        due ore e mezzo per arrivarci. Abbiamo cercato di informarci se non è
        oltre i 2.000 metri ricevendo risposte vaghe. Sono circa le 7,30
        quando lasciamo Huacho e ci immettiamo nella Panamericana che
        abbandoniamo dopo 70 chilometri per svoltare a sinistra, ossia verso la
        catena andina. Il paesaggio non
        presenta, ormai per noi grandi novità, agli inizi. Poi ci troviamo ad 
        attraversare una valle molto ben coltivata: campi immensi di
        carote, di carciofi, di fagioli, fragole, mais… Dopo un'oretta
        attraversiamo la città di Huaral che fu fondata o colonizzata da
        giapponesi immigrati in Perù come braccianti decenni e decenni fa. La
        presenza cinese si nota nei "Moto taxi" molti dei quali sono
        veri e propri "risciò" a pedale 
        o motorizzati. Superata Huaral, il
        vescovo ci comunica che diamo addio alla strada asfaltata e si comincia
        la salita.  Infatti imbocchiamo
        una strada sterrata che si incunea in una valle stretta fra due catene
        di montagne brulle, probabile regno di serpenti e di scorpioni. Mentre
        avanziamo, una cosa ci rallegra: la nebbia rimane alle nostre spalle, il
        cielo è azzurro e la temperatura  comincia
        a salire fino a 26 gradi. Sì, incredibilmente, più si sale e più fa
        caldo, più la temperatura si alza.  Mentre attraversiamo
        la gola desertica, don Antonio ci invita a recitare il Rosario
        dell’Aurora, una tradizione peruviana. Lo facciamo volentieri e lo
        terminiamo poco prima di raggiungere un villaggio con la sua chiesa in
        stile coloniale, che visitiamo.  Riprendiamo il
        viaggio non più in valle desertica, ma attraversata da un fiume, perciò
        coltivata. Impressionano i campi di mais – alcuni da poco seminati,
        altri con le  piante con il
        pennacchio e  altri ancora
        con le pannocchie mature – le piantagioni di ortaggi, i frutteti:
        mele, pesche, banane, poi anche canna da zucchero… Miracoli
        dell’irrigazione e del lavoro di questi campesinos che dissodano la
        terra tutta  a mano: non
        abbiamo visto un trattore. Verso le 11 arriviamo
        ad Acos, accolte da quattro giovanissime suore peruviane che si trovano
        in questa parrocchia da soli due mesi!  Siamo accolti con
        tanta cordialità in una casetta linda, a due piani che fu di suore
        francesi. Ci viene offerta una buona colazione, con marmellata prodotta
        da loro stesse, tè di erbe ristoratrici. Sul tavolo vasi di viole 
        del pensiero. Dopo qualche tempo arriva anche il parroco
        residente nella valle, padre Annibale. E’ un giovane, anche se non
        giovanissimo,  sacerdote
        peruviano. Notiamo però che non si muove con agilità come se avesse la
        schiena rigida. Non ci sbagliamo: è rimasto quasi congelato dal freddo
        visitando le comunità oltre i 5.000 metri dove di notte il termometro
        va sotto zero e non c’è il riscaldamento!  Mentre il vescovo, i
        due don, e la superiora parlano e visitano il convento, suor Maria Luisa
        ed io, con  due suore usciamo
        sulla strada che a quest’ora comincia ad essere trafficata perché
        arrivano da Lima i camion che raccolgono le cassette di frutta e verdura
        che la gente pone pronte lungo le strade. Visitiamo uno di questi
        frutteti di mele, pesche, avocado. Il paese oltre che lungo la strada,
        si inerpica sul fianco della montagna. Le suore vorrebbero portarci a
        visitare la parrocchia, ma facciamo orecchio di mercante, anche perché
        non la vediamo dal basso. Chissà dov’è! Improvvisamente si sente un
        alto parlante venire dall’alto: è il telefonista che avvisa un
        cittadino, che c’è una chiamata per lui. Ad Acos infatti, i cellulari
        non hanno campo e c’è solo il telefono pubblico, un solo canale di
        televisione, niente internet.  Ci avviamo verso casa
        pensando essere quasi l’ora di pranzo e invece troviamo Pablo al
        volante e riceviamo l’ordine di salire sul fuori strada per andare ad
        Lampian! Ci assicurano che non supera i 3.000. Ma ci vorrà più di
        un’ora ad arrivarci, salendo, salendo, con curve come quelle che si
        vedono nei film e su per quelle strade che vedevo dall’aereo… Per
        precauzione io guardo sempre verso la parete del monte, che si trova
        alla mia destra e non verso valle, verso il burrone che ci accompagna,
        anche se di tanto in tanto ammiro anch’io lo splendido panorama.  Più saliamo, più
        visibili diventano i tracciati dei sentieri. Però non si vedono paesi
        appollaiati sulle montagne come da noi. Solo linee che sembrano
        scarabocchi su un foglio di carta appeso: i villaggi si trovano oltre,
        così ci viene detto.  Arriviamo a Lampian.
        Ci fa da cicerone il sacerdote peruviano che ha voluto accompagnarci,
        nonostante il suo mal di schiena.  Non
        c’è molto movimento di persone fra le case perché gli abitanti sono
        in campagna e nei pascoli in altura.  Ma
        troviamo una chiesa splendida, con affreschi dorati, il Cristo morto, il
        Cristo risorto, statue di Madonne e santi con vestiti ricamati in oro,
        ma senza sacerdote residente, come tante e troppe chiese che possono
        godere della Messa e dei sacramenti solo una volta o due all’anno. 
         Legata a questa
        chiesa c’è anche un ricordo triste: qui il gruppo terrorista
        “Sendero Luminoso” ha trucidato nel 1983 un missionario spagnolo
        padre Vicente Hozarda e con lui tante altre vittime, tutte gente povera.
         Mistero della storia.  Nel ritorno ad Acos,
        guardo a “sinistra”. Come  faccia
        Pablo a guidare su quella striscia di strada tutta curve non so. E dire
        che a volte  occorre
        manovrare per lasciar passare camion che viene in senso contrario! Arrivati troviamo
        l’acqua che bolle in pentola e monsignor Antonio mantiene la promessa
        preparandoci, aiutato da suor Maria Luisa gli spaghetti, veramente
        saporiti, olio, peperoncino e un vino cileno. Noi li divoriamo (sono
        quasi le quattro del pomeriggio). Qualche suora fa buon viso a cattivo
        gioco, ma una non ce la fa proprio a mandar giù quello che per noi è
        un piatto da ristorante di lusso. Dopo pranzo il
        Vescovo raduna la comunità delle suore. Don Antonio riesce a liberarsi
        dal vescovo che continuamente lo chiama … “Antonio, Antonio… vieni
        a vedere, guarda cosa si può fare…” e ci trascina via per andare a
        vedere la parrocchia. Abbiamo un momento di panico per la paura di
        doverci arrampicare su per Acos, ma ci sbagliamo: ci porta su Pablo, con
        la macchina. Basti dire che la strada è così ripida che solo con la
        “riduzione” il bolide giapponese Toyota riesce a vincere la
        pendenza. Lassù tutto è splendido, ma don Antonio dice: “Non potrò
        mai essere parroco di questa parrocchia”. Lo credo bene. Com’era da
        immaginare, appena torniamo, l’atteso è don Antonio che il vescovo
        aspetta perché – occorre saperlo – è il “cappellano” diocesano
        delle religiose e dovrà visitarle regolarmente ovunque siano.  Il sole spariva 
        già all’orizzonte, quando ci avviamo verso Huacho ed era notte
        fonda quando arriviamo a Huaral. Ma l’ora non era tarda, le 19.30,
        perché si sa all’equatore è subito notte dopo il tramonto, per cui
        passiamo a salutare due missionari spagnoli residenti in questa città.
        Un incontro bellissimo. In parrocchia c’è un incontro dei giovani.
        Lungo le strade è tutto un andarivieni di gente a piedi, di moto taxi,
        risciò. I negozi sono aperti, le bancarelle vendono di tutto. Salutati i sacerdoti,
        si vuole visitare anche le suore di clausura, arrivate da poco,
        anch’esse spagnole. Sono circa le 21. Arrivati davanti al convento, il
        Vescovo scende, suona il campanello, attende, bussa… nessuno si fa
        vivo ed egli ritorna sui suoi passi. Il don lo prende in giro: “Non si
        va di notte da suore di clausura!” Domani scopriremo cosa è successo.
         Riprendiamo il
        viaggio. Il cellulare del vescovo comincia 
        a suonare. Siamo ormai in zona “globalizzata”. Stiamo per
        iniziare il rosario della notte quando siamo invitati ad attendere
        qualche minuto. Forse una chiamata importante. No, il vescovo ci indica
        degli spiazzi di luce a giorno che si vedono nella pianura. Immaginiamo
        sia qualche stadio illuminato a giorno. No, sono 
        coltivazioni di fiori. Per far sì che non si chiudano al calar
        del sole, sono illuminati a giorno, così continuano a crescere, a
        fiorire, ad essere pronti per il mercato che è fiorente sia interno al
        Perù perché c’è molto il culto dei fiori, sia per esportare
        all’estero. E con quella visione
        di fiori, i fiori che tanto piacevano alla mamma, recitiamo il rosario
        terminandolo con il “Dio sia benedetto”, come facevamo noi a
        Casatenovo, nel giorno del suo compleanno, pregando sulla terrazza dopo
        aver mangiato l’anguria. Domattina dopo
        Messa andremo ad Huaral, dalle suore di clausura, con i mezzi pubblici. Ho
        visto il don… Giovedì
        28 agosto 2008, dalle Suore di clausura Alle 8,50 del 28
        agosto, festa di Sant’Agostino, siamo sul pullman che ci deve portare
        a Huaral, dove don Antonio va ogni 15 giorni per le Confessioni nel
        monastero delle suore di Clausura che ieri sera non hanno aperto la
        porta al vescovo. Prima di partire, dopo la celebrazione della Messa in
        cattedrale, con il don avevamo parlato con gli artisti che stanno
        “indorando” la nuova pala d’altare della cattedrale, una
        meraviglia che non si può descrivere, solo contemplare. Gli artisti
        sono tutti peruviani usciti dalla scuola organizzata da “Mato
        Grosso”. Solo don Antonio sa dire di più e farci avere belle foto. Arriviamo alla
        stazione dei pullman alle 8.50. Il pullman partirà solo alle 
        9,20, perché ci dicono che abbiamo perso quello delle 9,00.
        Mistero!  Abbiamo così avuto
        il tempo di seguire quanto avveniva all’angolo della strada. Una
        signora “maggiore” aveva appoggiato su uno sgabello una cesta. Di
        tanto in tanto qualcuno si fermava, ordinava e lei apriva la cesta e
        serviva, secondo ordinazione, su un piattino di plastica o solo una
        patata  bollita che sbucciava
        e tagliava a fettine e condiva con sale, o un uovo sodo, anch’esso
        affettato e salato, o patata con uovo e sale. Il cliente, pagava,
        mangiava e restituiva il piattino, Certamente era la colazione di
        lavoratori! Abbiamo anche il
        tempo di osservare i prezzi del biglietto Huacho – Huaral e notare una
        cosa strana: nei giorni festivi il prezzo era più del doppio. Dopo
        un’ora e mezza arriviamo a Huaral, scendiamo, saliamo su un taxi ed
        eccoci al monastero delle Schiave del Santissimo Sacramento e della
        Immacolata, una congregazione di clausura di origine spagnola. Sono in
        Perù da due o tre mesi. La casa- monastero è in città, non ha
        giardino. Gli operai stanno ancora lavorando per adattare la costruzione
        alle esigenze delle monache che sono cinque, appartenenti a 3 nazionalità:
        Spagna, Messico e Porto Rico. Ci accolgono con
        tanta cordialità e rimangono di stucco quando Don Antonio, fra il
        burbero e il faceto, dice loro che ieri non hanno aperto al vescovo! La
        colpa, assicurano, non è della “clausura” - perché a quell’ora
        erano in  ricreazione - 
        ma del campanello che a volte suona e a volte no...  Parliamo con loro con
        molta spontaneità, in tre lingue (si fa per dire): spagnolo, italiano,
        inglese. Sì anche inglese perché  Non racconto del
        ritorno a Huacho: taxi, pulmino super affollato fino alla Panamericana,
        pullman proveniente da Lima, taxi… Per fortuna che la
        signora Carmen aspetta ,sempre tranquilla, l’arrivo dei commensali. Ma se noi pensiamo di
        riposarci, ci sbagliamo. Prima di sera si deve andare a vedere il
        tramonto. Non sarà bello, perché non c’è il sole, dice il don, ma 
        il mare è sempre mare e l’oceano lo è di più. Obbedienti andiamo,
        all’ora stabilita delle 17. Qui il bello è che non si perde tempo ad
        aspettare i mezzi pubblici. Esci in strada e i taxi passano sempre, con
        tre o quattro ruote. 
 Arriviamo in spiaggia
        scendendo giù dalla collina come in Liguria. Forse è per questo che
        emigranti genovesi del 1880 sbarcando in Perù hanno scelto Huacho come
        loro nuova patria. Infatti ancor oggi sono presenti discendenti di
        genovesi, compreso il parroco don Angelo Bisso che incontrandoci ci fa
        una grande festa come suoi “paesani”. Incontriamo anche una signora
        che dice in italiano che il mondo va male perché l’inflazione
        galoppa…  
 Il cielo è grigio,
        non si vede nessun sole, ma nel porticciolo ci sono le barche ed 
        una si chiama proprio Maria Luisa. Nel porticciolo i pescatori
        rassettano le reti, due barche prendono il largo ed un brivido ci
        coglie… siamo ai tempi del Vangelo! Poi
        raggiungiamo la spiaggia: vorrei proprio almeno toccare l’acqua. Ma è
        lei che mi investe con una onda più forte delle altre. Altro che Oceano
        Pacifico. Da lontano si vede  una
        squadra che gioca al pallone  in
        spiaggia. Chi ferma il don, anche se 
        siamo all’imbrunire? Arriviamo al campo, un saluto ai
        giocatori, una foto e su per la scarpata. Stavolta però non si vedono
        taxi di nessuna qualità. Poi spunta una piccola “Ape” e si ferma.
        Vogliamo salire? Ma come fa a portare noi tre su per la salita? Il
        conducente ci assicura: si può! Ci stringiamo in tre sul banchetto e
        via. Splendida Ape, non ha fatto un lamento e ronzando veloce ci porta a
        casa. Una foto mentre il don paga ci vuole… e la facciamo per dire a
        noi stesse che davvero siamo andate in tre sulla groppa di un’
        “Ape”. Ho
        visto il don… Venerdì
        29 agosto 2008, un battesimo in ospedale Da qualche giorno in
        Perù, ed Huacho non fa eccezione, non si sente parlare che della festa
        di santa Rosa da Lima, patrono del Paese, ma anche di tante parrocchie,
        associazioni e corporazioni professionali, comprese le forze dell'Ordine
        essendo stata dichiarata "Marescialla" suprema. In questa vigilia
        della sua festa si intensificano i preparativi e giungono le telefonate
        anche  a Don Antonio perché
        non dimentichi gli appuntamenti che, cominciano alla vigilia…  Fra i sacerdoti,
        forse il più tribolato è padre Saverio, il parroco della Cattedrale
        che dovrá viaggiare  tutta
        notte per raggiungere Oyon oltre i 5.000 metri di altezza, 10 ore di
        pullman, celebrare in due miniere di argento e rame, perché Santa Rosa
        è la patrona dei minatori, e tornare  subito
        con altre 10 ore di viaggio. Dare ai minatori la gioia della presenza
        sacerdotale è più importante di ogni fatica. Ce la farà:  Don Antonio ci
        dispensa dal seguirlo per benedire le nuove installazioni elettroniche e
        le ambulanze dell'ospedale Regionale che sta 
        davanti a noi. Passiamo la mattinata a stirare, stirare una
        montagna di biancheria che aspetta da qualche tempo di essere rimessa in
        circolazione. Lo facciamo volentieri e mentre siamo in veranda, ci
        accorgiamo che un raggio di sole squarcia la nebbia ed il cielo a poco a
        poco diventa azzurro: il primo sole 
        vero di questi giorni, qui in città. Verso l'una e mezza
        il don torna. Incredibile, ma oltre ogni sua aspettativa, ha potuto
        vedere ed essere informato sui risvolti tecnico-diagnostico di tanti
        macchinari arrivati nuovi di zecca, già collocati nei vari ambulatori,
        tutti all'avanguardi e tutti benedetti, uno per uno: ambienti,
        macchinari, personale addetto e potenziali pazienti, ogni automezzo
        compreso. E' contento, ma ci dice che subito dopo pranzo dobbiamo andare
        ancora all'ospedale perché è stato chiamato per il Battesimo ad un
        neonato in pericolo di vita, per problemi cardio – respiratori. Così è. Appena
        pranzato, ci avviamo verso l'ospedale. Il cancello d'ingresso si apre
        immediatamente appena il guardiano vede il Don e saliamo verso il
        reparto di neonatologia. Il bimbo si trova oltre il vetro della terapia
        intensiva. Un'infermiera ci accoglie, parla con il don, le porge un
        "camicione" a fiori per entrare nella zona sterile. Nel
        frattempo si vestono anche i genitori e i padrini del piccolo 
        agganciato al respiratore e ai monitor. Noi assistiamo
        all'amministrazione del Battesimo attraverso il vetro e accanto a noi c'è
        l'infermiere che vigila i monitor. I genitori sono giovani, al loro
        primo figlio e sono la statua del dolore, ma anche della tenerezza. Così
        pure il Don che con tanta pietà e partecipazione realizza il rito.
        Tutto il rito del battesimo. Interroga i genitori sulla loro volontà di
        battezzare la loro creatura, guida la loro mano al momento delle unzioni
        per segnare la croce sulla fronte il loro 
        bimbo e al momento di versare l’acqua la fa mettere sul petto e
        consegna alla mamma il purificatoio perché asciughi la testa del neo
        battezzato. Quanta tenerezza in ogni gesto! All’uscita secondo la
        prassi firmano il documento e, perché la famiglia possegga il
        certificato, aspettiamo che il papà vada a fotocopiarlo.Con tanta
        partecipazione e umanità ci congediamo godendo di vedere tanta serenità
        sul volto di tutti. Il piccolo volerà in cielo dopo 12 ore. Nell’uscire
        dall’ospedale, una coppia che ci aveva sentito parlare fra noi in
        italiano  ci saluta nello
        nostra lingua: sono genitori felici di un bimbo, erano stati in Italia
        per lavoro. Non è la prima volta che incontriamo persone che hanno
        lavorato in Italia, e tornati in Perù (anche in Ecuador) sono riusciti
        a migliorare la loro situazione economica. Che bello! Ma non abbiamo molto
        tempo da perdere perché dobbiamo andare al seminario minore per un
        incontro missionario sull’Africa, voluto dal Vescovo. Il seminario si trova
        ad Huaura, una cittadina appena fuori da Huacho, anzi confinante. Il don
        contratta un taxi, e via di corsa. L’appuntamento è per le 17.
        Arriviamo puntuali. I seminaristi, una trentina 
        di liceali sono subito radunati nella grande sala. E’ pronto
        anche il video proiettore per il CD, ma, dai che dai, non funziona, è
        incompatibile. E allora il famoso CD sulla Zambia tanto caro a Don
        Antonio e ai suoi amici, deve accontentarsi del minischermo del
        computer. Ma i ragazzi hanno occhi buoni e seguono con crescente
        interesse e stupore le foto che scorrono sul video, la natura, gli
        animali, le persone, le missioni… Poi siamo invitate a
        presentare l’Etiopia e il Mozambico per spiegare che siamo missionarie
        della Consolata, ad gentes e ad vitam… Il Don che ha sempre una
        sorpresa per farmi parlare, tira fuori dalla sua borsa il mio libro
        “Mozambico: insieme verso il futuro” e vuole che ne legga un pezzo.
        Facciamo fatica a trovare una pagina che non sia di guerra. La troviamo:
        “Natale: un bue e un vestito nuovo”. Leggo in italiano ed è
        tradotto in spagnolo dal… colpevole. L’ambiente si riscalda. Dalle
        domande ci accorgiamo che davvero l’Africa è lontana dal Perù. Il
        don promette di tornare a parlare delle missioni. Chiudiamo l’incontro
        recitando il Padre nostro in quattro lingue: africano, inglese,
        portoghese, spagnolo e con la benedizione del Signore sui seminaristi e
        sui superiori: un giovane sacerdote e tre ancor più giovani diaconi.  E’ ormai scuro, ma
        la giornata non è finita. Huarua è una cittadina storica dove il “libertador”,
        generale Josè de San Martin, ha lanciato il suo primo grido di
        Indipendenza nel 1820, da un balcone della piazza ancora esistente. Non
        possiamo tornare a Huacho senza vedere questo “cuore” storico, non
        solo per il Perù, ma per tutta l’America Latina.  A Huarua c’è anche
        un santuario della Madonna del Carmine, modesto, in relazione ad altri
        santuari, ma tanto caro a tutta la diocesi. Secondo quanto ci raccontò
        la signora Carmen, fu edificato per della Madonna stessa che per alcuni
        giorni appariva sotto vesti di una donna peruviana, india, seduta sul
        ciglio della strada. I contadini la vedevano al mattino quando andavano
        nei campi e la ritrovano alla sera, sempre lì seduta, senza dire una
        parola. Alcune famiglie cominciarono ad invitarla a passare la notte con
        loro. Ma al mattino, era sempre là, finché un giorno si rivelò
        dicendo che… desiderava una cappella, proprio lì dove stava seduta:
        era  Arriviamo in
        cattedrale che  In fondo alla chiesa
        stanno adornando la portantina di Santa Rosa. Nella cappella del
        Santissimo si sta ancora pregando. La chiesa è strapiena. I fedeli sono
        parenti o amici del defunto per il quale si offre  Lui, il Don, dice che
        vuole andare dal tipografo per assicurarsi che 
        la stampa del mio libro“Economia Domestica” sia pronta nella
        versione spagnola. Torna poco dopo felice: tutto a posto, possiamo
        andare a casa. Domani, festa di
        Santa Rosa, potremo dormire fino alle 
        8,30 perché assisteremo alle 
        Messe che celebrerà nei due ospedali: alle 9 e alle 11 Ho
        visto il don … Sabato
        30 agosto 2008, il giorno di Santa Rosa La giornata di oggi,
        è stata davvero una giornata campale, piena di eventi e di emozioni
        perché in Perù è realmente la festa del cuore, che fa memoria della
        "Sua Santa" santa Rosa da Lima, la prima santa del Continente
        americano, 1586-1617. Da qualche giorno non
        si sentiva che parlare di lei: dai sacerdoti della cattedrale,
        preoccupati per come "arrivare a tutti", ovvero a tutte le
        richieste di celebrazione della Messa, nelle varie parrocchie, alle
        associazioni o corporazioni che l'hanno per patrona, comprese le Forze
        Armate. Anche la nostra
        giornata è stata intensa. Per don Antonio è iniziata mezz'ora prima
        del solito, perché  Ci facciamo trovare
        pronte. Il Don entra in casa - un po' in ritardo- prende in fretta la
        valigetta che contiene il necessario per  L'ospedale, realmente
        un po' vecchio, è grande, fatto di padiglioni e padiglioni: roba da
        perdersi, ma don Antonio lo conosce bene.Dentro e fuori da un reparto e
        all'altro, da un cortile e all'altro raggiungiamo lo spiazzo dove le
        infermiere stanno ancora preparando per la celebrazione, anche se è
        passata l'ora. Don Antonio ne
        approfitta per fare una visita straordinaria a un malato. Lascia la
        valigetta, prende i giornali e andiamo. Chiedo qualche informazione
        sull'ospedale e scopro in poche parole che in quell'ospedale (che per
        fortuna sarà trasferito altrove, in costruzioni nuove), ci sono tutti i
        tipi di specialità: dalla maternità al reparto lungodegenti, una
        lungodegenza che può durare anni, dieci come 
        quella dell'anziano signore che incontriamo nella camera dove il
        Don ci ha condotte. Mi sembra si chiami
        Roberto. Appena vede don Antonio si solleva e sorride felice. Il don si
        scusa che, per colpa nostra, non è venuto questa settimana e mentre
        dice questo gli consegna tutti i giornali "così avrà da
        leggere". Noto che l'uomo, fin dal primo momento stringe in mano un
        minitransistor. Dopo qualche parola su Santa Rosa, l'invito a dire
        un'Ave Maria, dalla tasca del Don escono quattro piccole pile che
        consegna all'uomo che, trasognato, le prende, le bacia e dice: "Un
        regalo più grande non mi poteva fare, potrò ascoltare la radio!”
        Mentre ci allontaniamo il malato mi fa un cenno e mi dice: "Questo
        padrecito ha il dono di portare le persone alla fede: sia
        benedetto". Quando arriviamo, di
        corsa, alla piazzola trasformata in cappella, è quasi tutto pronto e
        alla spicciolata arrivano le infermiere. Inizia  Dopo la messa, e
        naturalmente la mia "predichetta", v'è la benedizione dei
        presenti. Benedizione abbondante con una rosa rossa, passando in mezzo a
        tutti. Alla cerimonia sono presenti varie autorità e ognuna dovrà fare
        gli auguri alle festeggiate, le infermiere. Noi ascoltiamo solo quelle a
        nome del rettore dell'università di Huacho (14.000 mila studenti),
        salutiamo in fretta anche i due cantanti che hanno vivacizzato la
        celebrazione e via.  Lasciamo l’ospedale
        vecchio e “voliamo”, fermando il primo taxi che ci passa sotto gli
        occhi, all’Ospedale Regionale, molto più moderno dove, accanto
        all’ascensore, c’è l’avviso: “NON UTILIZZARE IN CASO DI
        TERREMOTO”. Qui i terremoti ci sono davvero! Troviamo tutto
        pronto. C’è anche un coro in divisa per i canti. Santa Rosa troneggia
        in un mare di fiori e di luci.  Prima di congedarsi
        dall'assemblea, dopo aver asperso con l'acqua benedetta i presenti e
        avermi fatto "parlare", il don mostra alle persone una piccola
        croce  di legno, dono ed
        opera  del compagno di camera
        nel reparto di ortopedia di Giussano dove era stato ricoverato nel 2007
        per la rottura del femore ( sempre per l’amore al calcio) e spiega
        come anche in un ospedale possono nascere legami di amicizia che durano
        per sempre trasformando un ricordo amaro in gioia interiore. Appena finisce 
         All'uscita
        dall'ospedale, don Antonio ci consegna i paramenti: lui deve correre dal
        tipografo a prendere il libro diEconomia Domestica. Mentre noi ci
        avviamo verso casa, che si raggiunge a piedi, con l' "ordine"
        di fermarsi a far la spesa. Disobbediamo e andiamo prima a depositare la
        valigetta. Quando stiamo per farlo ecco che don Antonio arriva felice
        con le 300 copie portate con lui da una simpatica mototaxi! Scarica
        tutto velocemente e ci accompagna a far la spesa. Oltre al latte, al
        formaggio e a non so che cosa (io avevo voglia di cioccolato, ma non ce
        n'era) comperiamo i pasticcini in onore di Ermanna-Rosy e ci fermiamo al
        tavolino - era una specie di bar - a mangiare, sempre in onore di santa
        Rosa, una coppa di gelatina… rosa! Prima di pranzo c'è
        stato ancora il tempo di aprire il pacco di libri, sfogliare qualche
        copia (non da me, ma dal Don e suor Maria Luisa) per trovare il
        "pelo nell'uovo" dal punto di vista grafico: sì perché si
        tratta ancora di un'anteprima, un formato A4, bellissima la copertina:
        mi sembra di sognare: è la copia  Oggi la siesta è
        stata cancellata con la bella notizia che andiamo a fare le spese alla
        Tejesol, per comprare i souvenir dal gruppo donne che lavorano il
        giunco. Passiamo  un'oretta
        in negozio a scegliere cestini, collane, presepi, braccialetti… tutti
        manufatti bellissimi, tessuti con arte, esportati anche come equo
        mercato.  Come vorremmo poter
        trovare mille e mille clienti per dar lavoro a queste donne dalle mani
        d'oro che sognano di poter migliorare la loro condizione di vita. Hanno
        anche un e-mail e un sito: tejesol@Gmail.com 
        e www.huacho.info/tejesol.
         Torniamo a casa
        felici per deporre il bottino e ripartire, verso non sappiamo dove.  Il Don ci precede,
        esce di casa, ma torna subito sui suoi passi per prendere il libro
        liturgico per benedire una Mototaxi.  Uscite,
        non vediamo nessuna moto-taxi, ma un auto-taxi pronta che ci fa salire e
        parte seguendo una signora che corre davanti a noi. Dopo qualche isolato
        ci troviamo una "Ape" nuova fiammante, circondata da un gruppo
        familiare (nonni, genitori, zii, giovani, bambini) orgogliosi di
        consegnarla  - regalo di
        santa Rosa -  al
        "ragazzo" (figlio e nipote) perché possa guadagnarsi da
        vivere! Una benedizione in
        piena regola, con  i padrini,
        la preghiera liturgica tanto bella, il taglio del nastro, un brindisi
        con Coca Cola, perché il Signore protegga l'autista e quanti saranno
        condotti da  lui. E i primi
        benedetti siamo noi tre a cui fu offerto il passaggio per essere
        condotti a destinazione - con orgoglio ed emozione - dal giovane autista
        che ci assicura che ha la patente, ha già guidato, ed è felice. Fu un bel viaggetto,
        perché andammo verso la periferia. Chiudiamo la giornata con la visita
        a tre comunità di suore: una che fa pastorale giovanile e nelle scuole,
        andando anche ai 5.000 metri; una che ha il carisma di assistenza a
        bambini handicappati, ed una pastorale parrocchiale tra le casette di
        giunco; tre piccole comunità di quattro suore ciascuna, congregazioni
        di origine italiana, ma tutte internazionali e con due o tre giovani
        peruviane che desiderano diventare religiose. A tutte abbiamo consegnato
        Economia Domestica, che conoscevano perché avevano collaborato
        nell'adattare i testi alla realtà latino americana. Ho messo la dedica
        in ogni copia, scrivendo in tre lingue: portoghese, italiano e spagnolo:
        ormai non ne parlo nessuna correttamente! Poi su due
        "Api" raggiungemmo la cattedrale. Il don non celebrò ma era
        atteso per le confessioni. Durante la giornata gli autisti dovettero più
        volte deviare, per evitare il corteo di Santa Rosa che accompagnato
        dalle varie corporazioni passava nelle vie della città. Ho
        visto il don…  Domenica
        31 agosto 2008, Messa e archeologia Oggi è domenica. Don
        Antonio è andato in cattedrale per celebrare la santa Messa delle 7,00.
        Noi siamo andate in parrocchia del Divin Maestro, dove, alle  All'uscita della
        chiesa ci fermiamo a guardare la bella piazza con una grande statua di
        Gesù Maestro. Rientrate, prepariamo
        il necessario per il pranzo: oggi siamo noi le cuoche! 
        Menù: risotto alla milanese e bistecche di pollo. Vogliamo fare
        bella figura, soprattutto con il risotto che deve essere assolutamente
        in grado di competere con quello che facevano e fanno le nostre mamme.A
        tavola saremo sei milanesi! L'appuntamento è per l'una e mezza. Noi
        siamo puntuali e prepariamo la tavola in veranda perché è una giornata
        di sole. Don Orazio e i due
        giovani volontari arrivano in orario, ma di don Antonio neanche l'ombra
        di un' "Ape". Aspettiamo un po' poi serviamo per timore che il
        riso scuocia.  Arriva anche
        don Antonio e si mette a tavola dicendoci che, pur pensando al risotto -
        in confessionale - non è riuscito a venir via prima! Ci assicurano che
        era buono e non ne è avanzato neanche un cucchiaio. Alle 15,00 siamo
        pronte per l'uscita pomeridiana. Questa volta con il fuoristrada della
        parrocchia per visitare la zona archeologica di Bandurria che si trova a
        una decina di chilometri da Huacho, tra  Un vistoso cartello
        segnala il punto in cui occorre lasciare l'asfalto. Lungo la pista altri
        cartelli indicano il cammino da percorrere fino a raggiungere un
        "gabbiotto" dove siamo accolti da due giovani, uno dei quali
        è lo studente universitario che ci farà da guida. A vista non si vede
        niente, solo le dune e la polvere del deserto.  Lasciamo
        la macchina e ci avviamo con la guida che cammin facendo ci spiega la
        storia.  Il sito è stato
        scoperto qualche anno fa, messo in luce da un’alluvione. Bandurria è 
        il nome di un uccello che decenni fa popolava la zona desertica e
        che è poi migrato in altri territori. Ma se questo era conosciuto a
        memoria d’uomo, nessuno fino al 1973 immaginava che quella zona è
        stata la culla della civilizzazione americana, pre Inca che risale a
        3.500 anni avanti Cristo, da considerarsi tra le tre più antiche del
        mondo, insieme alla Mesopotamica e l’Egiziana. Dai primi scavi erano
        emersi segnali di un insediamento umano dedito all’agricoltura e alla
        pesca. In seguito, e molto, molto recentemente, sono apparse opere
        monumentali composti da piramidi  alte
        qualche decina di metri che si pensava fossero collinette 
        e,  davanti ad una di
        queste, è stato trovato, qualche mese fa, quello che sembra una vasca
        rituale asciutta, perfettamente circolare, costruita, come la grande
        piramide (tempio?) con pietre lise, non intagliate, giustapposte, alla
        quale si accede  scendendo
        qualche gradino, e si esce dalla parte opposta ai piedi della piramide.
        Una sorta di battistero, un luogo di purificazione nel quale gli
        iniziati simbolicamente scendevano negli inferi, e risalivano per
        avviarsi al monte di Dio. Confesso che non riuscivamo a staccarci da
        quel complesso ed immaginare, come diceva la guida, una grande
        moltitudine di fedeli che nello spiazzo davanti al complesso cerimoniale
        assisteva, ascoltava, pregava. Non so quante foto
        abbiamo fatto, senza riuscire a cogliere il tutto: forse ci voleva un
        fotografo di professione con macchine sofisticate, ma ciò che la
        digitale da turisti ha colto, aiuta ad averne un’idea.  Ma le sorprese non
        erano finite. A pochi metri da quella zona desertica dalla quale si
        vedeva l’oceano Pacifico, ci apparve improvvisamente  A dire il vero ci
        sembra di sognare: come è possibile godersi a vista d’occhio in
        un’area tanto piccola, mondi tanto diversi: oceano, laguna, deserto,
        civiltà antichissime, uccelli variopinti, campi verdissimi di giunco, 
        asini e pecore che pascolano e… non è finita.  La guida dice che il
        percorso è terminato. Il don dà una buona mancia a lui e due altri
        giovani, si fa la foto di rito e si risale in macchina, ma non si va
        verso  Ci sediamo in
        veranda. Due pali indicano che davanti a casa c’è una rete da
        pallavolo. Passano due ragazze: “Perché non giocano?”, le incita il
        Don. Detto fatto, la rete è tesa, la palla appare e cominciano a
        giocare: dopo qualche tempo i giocatori sono quattro: suor Maria Luisa,
        Don Antonio e le due studenti che, finita la partita, insieme alla
        direttrice di Tejesol sono ben felici di accettare il passaggio in
        macchina che il don offre, facendo risparmiare  loro
        una mezz’ora di cammino nel sentiero sabbioso fino alla strada
        principale dove aspettare il passaggio di un autobus che le porti a
        Huacho.  Quando arriviamo in
        città il sole sta per iniziare la discesa del tramonto nell’immensità
        dell’oceano. E verso il Pacifico ci dirigiamo. Si vede che è
        domenica. A noi sembra faccia freddo, ma c’è qualcuno che fa il
        bagno, c’è chi passeggia o gioca, mentre il sole cade. 
        Ma nulla di speciale. Raccogliamo qualche conchiglia, qualche
        sasso levigato, in attesa di vedere il cielo infuocarsi, ma neanche per
        sogno. Nonostante ciò scattiamo qualche foto e, miracolo: la macchina
        coglie luci da arcobaleno che non si vedono a occhio nudo. Un gioco di
        luci stupendo, incredibile. Grazie don Antonio anche per questo
        pomeriggio.  Sono quasi le 18,
        occorre andare a casa e per poi andare in cattedrale perché alle 18,30
        ci sarà la concelebrazione presieduta dal Vescovo.  Arriviamo a casa, il
        tempo di mettere in garage la fuoristrada, lavarsi le mani, e uscire di
        nuovo, prendere un taxi. Non l’ho mai detto, ma il tragitto costa 2
        Soles che corrispondono a 0,50 euro. Giunte in chiesa, ci
        raccogliamo un momento nella cappella del santissimo, poi Don Antonio va
        in sacrestia e noi nel primo banco, anche perché vogliamo contemplare
        da vicino l’altare dorato che è tutto uno splendore. Arrivano le 18,30, la
        chiesa si riempie, le candele sono accese, l’organo suona dolcemente,
        ma la campanella che annuncia l’entrata dei sacerdoti, rimane
        silenziosa. Passa cinque, dieci minuti, un quarto d’ora niente.
        Finalmente suona, ci alziamo, iniziano i canti, entrano i chierichetti,
        poi il celebrante, non “i celebranti”come preannunciati. Entra solo
        Don Antonio. E il Vescovo dov’é? Inizia  Don Antonio legge il
        Vangelo e cede il posto a Monsignore per l’Omelia. E’ commovente
        sentire come il Vescovo parla ai fedeli superando i dieci minuti , forse
        la mezz’ora. Ad un certo punto sentiamo che parla di noi due, delle
        due ospiti e ci invita, una dopo l’altra a porci accanto a lui, a
        presentarci a parlare della missione, dell’Africa. Siamo emozionate e
        acclamate dall’assemblea che gremisce la chiesa.  Una
        lunga piacevolissima domenica di missione. La cena stasera non è
        all’aperto. C’è troppa umidità nell’aria. Andiamo a dormire
        presto, perché domani, dopo Messa si parte e si va lontano, con il
        vescovo ed altri sacerdoti su per la cordigliera delle Ande, in
        missione! Ho
        visto il don…  Lunedì
        1 settembre  2008, chiese belle e abbandonate Di buon mattino
        partiamo per Ambar con due fuoristrada. Noi siamo in quella del vescovo
        nella quale viaggia anche un giovane seminarista, nativo di Ambar, che
        dovrà indicarci il cammino; nell'altra hanno preso posto… tutti i
        sacerdoti della Curia di Huacho, compresi il Vicario episcopale; con
        Pablo l'autista siamo in undici! Ambar  è
        un distretto di Huaura, con più di 3.000 abitanti, dei quali 2.000
        residenti nella cittadina e gli altri dispersi in piccoli villaggi
        situati chi prima, perciò sotto i 1.800 metri di altitudine, altri
        oltre, molto oltre, adagiati sulle montagne andine. Non descrivo il
        paesaggio, perché assomiglia a quello già descritto nel viaggio verso
        Lampian: un continuo andare e salire verso l'alto lungo valli intagliate
        fra massicci brulli, valli anch'esse aride, ma che improvvisamente
        appaiono coltivate perché irrigate da un benefico fiume, che ha dato
        vita a piccoli centri abitati. Ogni paesello ha la sua chiesa, e ad ogni
        chiesa ci siamo fermati. Ogni chiesa è un gioiello anche dal punto di
        vista artistico. In una abbiamo trovato una campana portata dalla Spagna
        che porta incisa la data  di
        nascita dell'anno 800 (IX secolo, non 1.800!), oltre a pareti
        affrescate, altari  e pulpiti
        indorati, statue di Cristo, della Madonna 
        rivestite di abiti preziosi e libri liturgici in latino di
        qualche secolo fa.  Ma in
        nessuna di queste parrocchie, c'è il sacerdote, quanta pena. Arriviamo ad Ambar
        verso mezzogiorno e siamo accolti, se non sbaglio, dal suono delle
        campane. Ci aspettavano? Arrivano le autorità, poi qualche fedele, poi
        assistiamo al passaggio di  un
        centinaio e più di bambini che escono dalla scuola elementare, più
        tardi altre decine sono ragazzi delle medie e superiori. Ambar sembra una
        cittadina Svizzera! Qui tutto è nuovo, o messo a nuovo. Anche  Mentre i sacerdoti
        con il Vescovo stanno facendo una “vera visita canonica”, suor Maria
        Luisa ed io usciamo e ci sediamo fuori della chiesa su una panchina
        costruita attorno ad un albero centenario.  Subito si avvicina a
        noi una signora anziana che dice di avere 90 anni, ed altre signore e ci
        raccontano… Secondo la
        tradizione, quell’albero è stato piantato nel 1875 da un geografo
        italiano milanese Antonio Raimondi.  Gli italiani diedero 
        un grande impulso all’attività agricolo e commerciale della
        zona, alcune famiglie sono ancora proprietarie 
        di case e terreni anche se non vivono qui, ma tornano ogni anno a
        ferragosto all’Assunta: quest’anno erano in 15 per  la
        solenne festa patronale. Chiediamo: “Da
        quanto tempo manca il sacerdote residente?” Una signora risponde:
        avevo sei anni e fui tra le ultime a ricevere da lui i Sacramenti. E
        l’anziana aggiunge: sono 40 anni che siamo senza sacerdote! Una volta o due
        all’anno viene qualche sacerdote da Huarua, ma si ferma sempre poco.
        Quest’anno è venuto, per l’Assunta un diacono e così non abbiamo
        neanche potuto confessarci…” Ma, visitando  E la anziana signora
        continua: la chiesa è stata costruita su fondamenta forti, ed ha
        resistito ai terremoti del 1940 e del 1970, anche se ha avuto delle
        crepe, ora restaurate. La canonica che era a due piani, invece, come
        tutte le altre case sono crollate.  Ma
        ora la cittadina è rinata.  Ogni
        giorno arrivano da Lima due e anche più pullman di linea. E i camion
        dei commercianti arrivano puntuali per raccogliere i prodotti che noi
        prepariamo nelle cassette (pesche, mele, pomodori). Nella piazza
        antistante siamo avvicinate da un signore anziano che dice di avere i
        figli emigrati anche in Italia. Ci spiega che c’è poca gente in giro
        perché sono nei campi o nei pascoli.  Nel
        pomeriggio ci renderemo conto che l’ “Adulto Maggiore”, come sono
        chiamati gli anziani in Perù, aveva detto il vero. Infatti, a
        quell’ora dalle strade che portano oltre Ambar, si vedono scendere i
        contadini accompagnati da asini, cavalli e lungo la strada, vediamo le
        cassette di frutta pronte in attesa del camion.Incredibilmente (per noi)
        ecco arrivare un grande  autobus,
        si ferma  un momento e poi
        continua il suo cammino verso l’alto … Ci dicono a un’ora e mezzo
        di cammino dove c’è un'altra cittadina! Veniamo a conoscenza 
        anche di una notizia incredibile: su queste valli “Sendero
        Luminoso”, di triste memoria, aveva le sue basi. Ad Ambar sono state
        25 le sue vittime. Perché? Misteri della storia! Quando arriviamo in
        casa del seminarista troviamo il Vescovo che sta cucinando gli spaghetti
        – con aglio e peperoncino - la sua specialità! Ma sulla tavola appare
        anche riso e verdure e carne portata dalla gente. E qui torna la
        richiesta a noi di rimanere… In casa c’è solo
        la mamma del seminarista. Il papà è in montagna nel campo. 
        Qualcuno deve averlo avvisato che a casa sua erano arrivati
        ospiti, tanti ospiti, anche il Vescovo e sacerdoti e suore e 
        suo figlio.  Ad un
        certo punto lo vediamo arrivare, sta per entrare in casa, ma forse teme
        qualche brutta notizia? Sta di fatto che non entra, gira attorno alla
        casa, passa in cucina.  Poi
        sorridente ed emozionato entra: si vede che aveva temuto cattive
        notizie, e trova che tutte sono belle. La coppia ha tre figli: una
        figlia sposata e due seminaristi, il giovane liceale che ci accompagnato
        e uno già in teologia. Erano andati a Huacho a studiare e là hanno
        scoperto – dice la mamma – di avere un carisma diverso!  Durante il viaggio
        Mons. Antonio aveva chiesto al ragazzo cosa gli mancava di più vivendo
        in città. Aveva risposto: “Cavalcare il mio asino e correre nella
        selva!”. Lo credo bene che deve essere duro, per chi è nato fra
        questi monti, sotto un cielo azzurro, con abbondanza di acqua, di verde,
        di frutti, di sole, vivere a Huacho, la città convulsa posta nel
        deserto.  Ma il Signore
        quando chiama rende luminosi, come sono luminosi gli occhi di questo
        ragazzo che, felice risale sul fuori strada e torna in Seminario. Torniamo carichi di
        frutta per il seminario e per la diocesi, per i poveri. Per strada il vescovo
        progetta su come assistere pastoralmente le popolazioni di Ambar.
        Qualche soluzione provvisoria  è
        possibile, ma solo se ci saranno più sacerdoti. Sogna di avere il
        seminario maggiore a Huacho, e non dipendere da Lima. Sarebbe disposto
        Don Antonio ad insegnare latino? “Preferirei inglese, risponde, ma -
        indicando noi – qui ci sono due professoresse di seminario in Etiopia
        e Mozambico”. E sì, noi verremmo anche subito per stare a Ambar, ed
        insegnare a Huacho al futuro seminario…  Ma la realtà è che
        domani, partiremo per l’Italia. Ritorneremo? Lo voglia il Cielo. All’entrata di
        Huacho siamo fermati dalla polizia stradale. Documenti? Ma subito un
        poliziotto riconosce il don… ed è via libera. Grazie Signore
        di questa splendida giornata: Grazie a Monsignore, ai Sacerdoti che sono
        venuti con noi e  di chi ci
        ha ospitato tanto cordialmente. Ho
        visto il don… Martedì
        2 settembre 2008, Lima, capitale immensa Oggi è il giorno del
        ritorno in Italia. Partiamo di buon mattino per Lima anche se il volo è
        alle 18 di stasera e ci si deve trovare in aeroporto alle 15.  Don Antonio vuole
        farci visitare anche Lima, questa capitale di 14 milioni di abitanti  Le mete consigliate
        da tutti sono: visitare il centro e sostare a san Francesco, la
        cattedrale, santa Rosa e dal Signore dei Miracoli. Ma don Antonio,
        arrivati in città dice a Pablo di portarci fino all’Oceano, alla
        punta estrema della città.  Immaginano Lima, come
        Genova, periferia, città, porto, tutto in dieci minuti di strada.  Invece
        credo che per raggiungere questa estremità ci sarà voluto quasi
        un’ora. Ma valeva la pena perché abbiamo potuto renderci conto della
        grandezza della città, dell’immensità di questo porto, di tante
        strutture metropolitane(università, scuole, palazzi, ospedali,
        fabbriche, depositi infiniti di container..) e capire come e dove 
        la gente vive, lavora, studia. Ecco cosa dice
        l’Internet di Lima e il suo Porto: “Lima Capitale del
        Perù, capoluogo del dipartimento omonimo, sul fiume Rímac, situata
        nella sezione centroccidentale del paese, in un'arida regione costiera
        stretta fra l'oceano Pacifico e la catena delle Ande. L’area
        metropolitana si estende fino al mare, con i quartieri residenziali di
        San Isidro, Monterrico, Jesús María, Surquillo e i sobborghi turistici
        di Miraflores e Barranco. Callao, porto marittimo di Lima, si trova a
        circa tredici chilometri dal centro cittadino. Lima è la maggiore
        metropoli del paese, centro amministrativo, commerciale e manifatturiero
        di primaria importanza. La quasi totalità della produzione tessile
        industriale del Perù è concentrata nella capitale, che è sede di
        industrie chimiche, petrolchimiche, meccaniche, siderurgiche,
        automobilistiche, alimentari”. Arrivati al Porto, ci
        fermiamo in un’area storica dove ci sono i cimeli della guerra, di non
        so quale secolo: un immenso cannone, un sottomarino, un fortino. Lasciato il porto
        “para otra via” raggiungiamo il centro. Se non ci fosse stato Pablo
        al volante che conosce Lima come  le
        sue tasche, avremmo perduto l’aereo. Invece verse le 11 siamo nel
        “mini-seminario” della diocesi di Lima, dove tre o quattro chierici
        studiano nell’Università teologica. Ci accolgono con tanto calore e
        ci offrono un buon caffè e un dolce di mele. Non ci attardiamo
        perchè ci sono tante cose da vedere prima di partire.  La prima sosta è
        alla Plaza  de Armas, dove si
        trovano  C’è movimento in
        piazza: forse attendono di assistere al cambio delle Guardie d’Onore.
        Ci colpisce la presenza di tante scolaresche, tutte in divisa, tutte
        accompagnate da gentili maestre e maestri che invitano gli alunni a
        salutarci come “Padrecito e hermanitas”. Per permetterci di
        sostare un po’ Pablo gira e rigira, intorno alla piazza, poi, ci
        riprende a bordo. La prima sosta è al
        Santuario e Casa di Santa Rosa da Lima, la prima santa canonizzata
        dell’America, contemporanea di San Martino de Porres, anch’esso di
        Lima.  Anche qui troviamo
        tante scolaresche: dall’asilo alle superiori.  Al
        santuario il punto più “gettonato” è il pozzo dove Santa Rosa
        attingeva l'acqua. Ora è asciutto ed 
        i devoti lanciano dentro le loro richieste di grazia, scritte su
        biglietti. Anche noi vogliamo lanciare nel pozzo la nostra preghiera, ma
        non abbiamo neanche un pezzo di carta… Una signora si accorge del
        disagio  e 
        strappa dalla sua agenda tre fogli. Ognuno di noi scrive in
        segreto e lancia il foglietto che cade giù a picco senza fermarsi sulle
        grate. Se mi ascoltasse santa Rosa… fra poco tornerei in missione. La visita durò poco,
        15 minuti non di più. Poi via, al Santuario 
        dove c'è il murale autentico del Signore dei Miracoli(in lingua
        spagnola: Señor de los Milagros de Nazarenas)  la
        cui festa si è diffusa in tutto il mondo, grazie ai peruviani e della
        quale don Antonio ha già parlato, avendo partecipato alla processione
        fatta a Milano nell’ottobre 2007. Fu un'emozione grande
        contemplare la parete dove tutt'ora 
        si trova il dipinto, opera di un africano dell'Angola deportato
        in Perù come schiavo. Un dipinto tracciato su una capanna di poveri che
        sopravvisse a tante peripizie, compresi il terremoto del 1655 un
        terremoto che devastò la città di Lima riducendo in macerie la maggior
        parte degli edifici e ad altri sismi. I cittadini iniziarono a pregare
        con devozione l’immagine e a ottenere da essa guarigioni e grazie:
        questo fece sì che il dipinto fosse considerato miracoloso e chiamato,
        appunto, “Signore dei Miracoli”. Il 14 settembre 1671,
        davanti alla raffigurazione del Cristo crocifisso, si svolse la prima
        Messa; nel 20 ottobre del 1687 dopo l’ennesimo terremoto che risparmiò
        il dipinto, i fedeli fecero una copia in tela del murale e iniziarono a
        portarla in processione per le strade del quartiere di Pachacamilla. Dal
        1747 viene portata in corteo anche la tela della “Madonna della
        Nube”, che sembra sia apparsa a Quito in Equador nel 1696. Nel 1715
        l’autorità della capitale peruviana dichiarò il “Signore dei
        Miracoli” patrono e custode della città di Lima. Ci fermiamo a
        comperare qualche ricordo, poi bisogna correre verso 
        "San Francisco", prima che lo chiudano.  Veramente non capivo
        perché tanta premura per vedere una chiesa dedicata a San Francesco di
        Assisi, a noi non restava che seguire il don, salire sulla macchina di
        Pablo … Arriviamo a San
        Francesco: la chiesa è chiusa. Una chiesa che non presenta nulla di
        straordinario all'esterno, e, penso, non supererà all'interno, quelle
        che abbiamo già visto in Ecuador e in Perù. Ma chi conosce il Don
        sa che le sorprese non finiscono mai e che se corre, ha una meta. E la
        meta era: "Visitare il Convento e le catacombe di san
        Francesco". Per questo ci fa
        entrare in un atrio, compera i biglietti e aspettiamo più di un quarto
        d'ora il turno per la visita guidata. Poi esce un gruppo di lingua
        inglese ed entriamo noi: una trentina di persone con guida in spagnolo.  Ora capisco il perché
        fu necessario correre per arrivare a vedere cose questo favoloso
        convento Francescano dagli interni mozzafiato: porticato piatrellato,
        sacrestia, coro, refettorio pieni di opere d'arte, soffitti da favola,
        scalinate. E’ un trionfo di oro, arte e fede, seminata nei secoli. Ma,
        mi dicevo, cosa centra questo con le "Catacombe?"  Qui, pensavo, non
        sanno cosa significa la parola… Invece, la guida ci ferma, ci comunica
        che il percorso diverrà accidentato e si comincia a scendere. Si
        ammirano prima le fondamenta "stramassicce" a prova di
        terremoto (in Perù il terremoto deve essere proprio di casa) da
        cinquecento anni. Poi si passa per cubicoli e sembra di essere davvero
        alle Catacombe di Roma. La guida spiega che per secoli, diversi piani
        sotto la chiesa erano serviti da cimitero. Prima i frati, poi persone
        facoltose che aiutarono nella costruzione e poi il popolo tutto… e tra
        un corridoio e l'altro si arriva ad immense vasche, pozzi profondi,
        pieni di teschi e di ossa lunghe degli arti, ben divisi. Si pensa che vi
        siano i resti morali di 70 /80 mila persone. E non tutto il cimitero è
        venuto alla luce. "Perché?" 
        chiede un signore che faceva parte di un gruppetto di una decina
        di uomini. "Perché gli scavi sono pericolosi", risponde la
        guida. E l'altro: "Date a noi questo compito: siamo minatori, non
        è niente scavare qui".  Noi non vedevamo
        l'ora di uscire. Anche don Antonio era del parere, c’erano troppe
        ossa. Finalmente la guida comincia a risalire e ci troviamo presto in
        piazza che mi è sembrata splendida! Pablo ci aspettava, ma riceve
        l'ordine di stazionare vicino a un ristorante nel quale troviamo posto e
        ordiniamo pollo arrosto e patatine fritte: il tutto veramente buono e
        abbondante. Poi via verso l'aeroporto dove si doveva arrivare per le 15,
        tre ore prima della partenza. Arriviamo puntuali.
        C'era già la coda, ma l'addetto alla vigilanza non solo lascia entrare
        il Don in un'area "proibita " ai non passeggeri, ma ci mette  in
        testa alla linea preferenziale dei vip. Potere ecclesiastico. Nessun problema per
        le valige, spedite fino a Torino. Ancora un salto per qualche ricordo
        peruviano e disperata e vana  ricerca
        di un quotidiano da inviare a Peppino appassionato di giornali: tutte le
        copie erano già state vendute, non ne trova neppure Pablo inviato a
        fare un giro nei pressi dell'aeroporto. Per consolarci una
        visita al bar per un caffè "italiano". No, c'è solo quello
        "americano" che non riusciamo a bere. Poi l'abbraccio
        commosso: "Ciao Don…ciao Pablo…Ciao Hermanas…, Grazie, grazie
        di tutto". E via oltre la linea dei controlli doganali. Puntualissimo,
        l'aereo parte, al completo ed arriva puntuale ad Amsterdam; Puntuale
        parte quello che ci porta fino a Roma, ma da Roma a Torino c’è
        ritardo di un'ora e mezza. Questo ha fatto si che, partite martedì 2
        settembre da Hacho, alle 7 del mattino, arrivassimo, bagagli compresi e
        non è poco - per il gioco delle 7 ore del fuso orario - giovedì 4
        settembre alle 2 di notte a Grugliasco…  Ho visto il Don, non
        è stato un sogno. L'ho visto felice e, come sempre pienamente sacerdote
        della sua gente, come a Cerro Maggiore, nei suoi anni giovanili, a Kafue
        in Zambia e poi a Cologno Monzese, a Milano Greco, a Seveso Altopiano e
        a… Casatenovo.  E da don
        Antonio ho ricevuto per tutti - e a lui non scappa un nome e un volto -
        i suoi saluti e il suo grazie ai quali mi unisco. | |||
| Profilo di suor DALMAZIA COLOMBO | 50 anni di professione religiosa 1958 - 2008 | ||
| Suor Dalmazia Colombo nasce il 22 dicembre 1935 a Dolzago, in Brianza. A 19 anni entra nell’ordine delle Suore Missionarie della Consolata di Grugliasco (To). Ha lavorato 36 anni in Mozambico (dal 1964 al 2000): prima a Mitucue, poi a Lichinga, a Mecanhelas, a Maputo, a Nampula, esercitando la professione di infermiera, ostetrica, insegnante, catechista... Ha seguito la mediazione coordinata dalla Comunità di S. Egidio di Roma, che ha portato nel 1996 alla fine della guerra civile fra i due partiti “Frelimo” e “Renamo”, che durava dal 1975. Nel 1971 ha pubblicato “Economia domestica”, un libro/manuale in portoghese per la promozione della donna e la conduzione della casa. Il libro ha avuto nove ristampe ( 10.000 copie ognuna) di cui una in inglese ed é attualmente usato anche in altri stati africani. In seguito ha pubblicato “I valori religiosi del popolo Makua” (EMI 1988) con la sorella, Rosy Colombo, “Vibrare insieme. Mozambico 1964-1990” (EMI 1990) e “Mozambico Insieme verso il futuro” (EMI 1999). Nel 1993, su suggerimento di una famiglia di Cologno Monzese, Suor Dalmazia ha avviato un progetto di adozioni a distanza gestite direttamente da lei e dalle sue consorelle. Nel
        1996, grazie ad un finanziamento  della CEI,  della Diocesi di
        Milano, dell’otto per mille e di altre istituzioni, ha fondato insieme
        ad altri missionari l’Università Cattolica del Mozambico, la seconda
        università del paese, dando vita alle facoltà di Economia e commercio
        (nella sede di Beira) e di Giurisprudenza (a Nampula). In quest’ultima
        facoltà ha lavorato come professore di Etica Sociale (Suor Dalmazia si
        è laureata in Missiologia nel 1986 a 51 anni all’Università
        Gregoriana di Roma). A 6 anni di distanza dalla fondazione, sono state
        inaugurate anche Scienze della Formazione, Dal 2000 Suor Dalmazia é rientrata in Italia per un periodo di collaborazione giornalistica con la rivista “Andare alle Genti”, edita dal suo Istituto religioso, e risiede presso la Casa Regionale delle Suore Missionarie della Consolata a Grugliasco. scritto da Giovanna Maria Fagnani 
 | Quando,
        il 22 maggio 1958 feci la prima professione religiosa fra le Suore
        Missionarie della Consolata, mi trovavo a Sanfrè in provincia di Cuneo
        - Italia, avevo 22 anni, sognavo di diventare infermiera e di andare in
        missione. Il
        primo sogno cominciò a divenire realtà il 15 settembre dello stesso
        anno all'entrare nel Convitto della Scuola per infermiere professionali,
        dell'Ospedale Santo Spirito di Roma. Il
        secondo sogno non tardò a diventare realtà perché, il 29 novembre
        1963, partivo da Genova per il Mozambico, dove sarei rimasta per 37anni,
        fino al 2000, anno in cui fui chiamata a vivere la missione in Italia
        come redattrice della rivista missionaria dell'Istituto "Andare
        alle genti". Celebrai
        in Mozambico, il 25° di Professione, in forma solenne, a Maputo,
        capitale del Mozambico e in tono "minore" in varie comunità.
        Ricordo che nel bel mezzo della celebrazione nella comunità di Lichinga,
        mi si affacciarono alla mente alcuni numeri: Prima
        professione, 22 anni. Venticinquesimo 57 anni. Cinquantesimo 72 anni e
        mi parve che avrei dovuto smettere di sognare. Ma appena manifestai la
        "matematica" dei miei anniversari, fui "aggredita"
        dal celebrante, padre Barros che mi disse: "Se pensi di appendere
        la missione al chiodo, puoi scordartelo!". E lo scordai, per
        questo, forse, arrivai al 50° sognando di riprendere la via del
        "ritorno" in Mozambico, prima di compiere i …100 anni e 78
        di Professione! Per
        noi Missionarie della Consolata, gli anni contano dal giorno della Prima
        Professione. Per cui, affacciandosi il 2008, entrai nell'anno delle
        "Cinquantenni del maggio 2008!.  L'annuncio
        dell'evento è dato nei diversi bollettini e riviste dell'Istituto, così
        che tutte noi sappiamo chi, nell'anno festeggerà i 25, 50, 60, 65, 70 e
        75 anni di Professione e quest’anno, fu annunciato anche l'80° di
        Professione di suor Antonietta che ha ben 106 anni! La
        particolarità è che nessuna celebra una sola Festa di Anniversario.
        Sono sempre almeno tre: una nella comunità dove vive la suora, una al
        Centro dell’Istituto e una nella Diocesi o Parrocchia di origine e chi
        è in missione fa sempre dei calcoli per trovarsi al suo Paese per
        l'occasione. Un'attenzione
        speciale è data alla Cinquantenni. Per esse si organizza un mesetto
        "sabbatico" con Esercizi Spirituali, incontri fra noi sorelle,
        visita ai luoghi sacri della Fondazione dell'Istituto: il Santuario
        della Consolata e la Casa Madre di Torino, dove il Fondatore, il beato
        Giuseppe Allamano, "generò" l'Istituto e dove si formarono le
        Prime Missionarie della Consolata e a Castelnuovo Don Bosco, dove
        nacquero l'Allamano, suo zio san Giuseppe Cafasso e don Giovanni Bosco
        che aggiunse il suo nome al borgo. A
        noi si erano associate quattro sorelle "Sessantenni" e alcune
        missionarie in vacanza dalle Missioni dell'America Latina e dell'Africa
        per cui eravamo una trentina ad aver  la gioia di partire, il 20
        maggio, alla volta della Casa Generalizia, che si trova a Nepi in
        provincia di Viterbo. Un viaggio sereno, trascorso fra preghiere, canti
        "nostalgici", belle chiacchierate, qualche pisolino, un bel
        film e le soste di rito all'autogrill. Partite verso le 6 del mattino,
        alle 16 eravamo già a Nepi, ricevute come principesse dalla Madre
        generale, le consigliere, le sorelle tutte che facevano a ruba per
        prenderci i bagagli ed accompagnarci nelle nostre camere, dopo un
        salutino alla spicciolata a Gesù nella cappella e una visitina al
        "servizio bar" nel quale non manca mai l'acqua fresca di Nepi,
        dato che la nostra casa si trova nella zona Settevene ed ha come vicini
        di casa lo stabilimento dell'Acqua di Nepi. Dal
        21 maggio al 26 abbiamo trascorso una settimana splendida fra incontri
        ben guidati e variati. Interessante la panoramica della nostra presenza
        nei quattro continenti, Africa, America, Europa e Asia, con l'aiuto di
        documentari. Non sono mancati  esperti in problematiche moderne,
        comprese quello della Nostra Bella Terza o Quarta età, che deve
        mantenersi viva con interessi culturali, pastorali e spirituali, ma
        anche con la ginnastica studiata per noi! Il
        22 maggio, vera giornata dell'Anniversario, fu segnata dall'udienza dal
        Papa. Progettata in modo stupendo: primi posti in piazza san Pietro,
        pranzo nella Comunità di via Foscari… si è rivelata invece un
        disastro perché la pioggia battente ha sconvolto l'accoglienza dei
        pellegrini. Noi siamo finiti in san Pietro e come molte altre sorelle,
        abbiamo visto il Papa attraverso lo schermo delle piccole macchine
        fotografiche dei pellegrini… Quanto freddo, quant'acqua… Ma in via
        Foscari siamo arrivate e ancora una volta trattate da principesse dalle
        sorelle, con un pranzo da sposa (doveva essere solo una pizza e invece
        c'era anche pasta al forno alla romana… e un dono, uno stupendo e
        grande cero, corone per le missioni e biglietti augurali, confezionati
        con arte da suor Pier Laura ultra novantenne! Il
        24 maggio abbiamo avuto la seconda uscita, a San Pietro e a San Paolo
        fuori le mura. Questa volta la giornata era splendida. Alle 8 del
        mattino eravamo già nella basilica vaticana, che a quell'ora era
        visitabile sia in superficie sia alle grotte dove sono sepolti i Papi.
        Quando è terminata la Messa delle 9, a cui avevamo assistito nella
        cappella del Santissimo, i pellegrini e i turisti stavano entrando a
        frotte e si è fatta fatica ad uscire… Ma mentre essi invadevano i
        luoghi santi, noi abbiamo invaso i negozietti dei souvenir. Noi
        "europee" abbiamo scelto una medaglietta o altro oggettino
        artistico, le "africane” e le “americane" hanno sbancato
        lo scaffale con sacchetti di cento "Gesù Bambino", venduti
        per pochi euro, acquistati sognando presepini per le loro scolaresche e
        quello con sacchetti di cento rosari di plastica: queste sono le cose
        che fanno la differenza fra chi vive la Missione e chi vive nelle
        "Missioni". Come
        descrivere la domenica 25 maggio, giornata solenne degli Anniversari di
        Professione? Il cielo è stato dalla nostra parte: splendido, pieno di
        sole. La celebrazione è iniziata alle 15,30.  Gli
        invitati hanno cominciato ad arrivare nel primo pomeriggio ed io ho
        avuto la gioia di vivere la giornata con accanto a me mia sorella Rosy e
        Vicente suo marito, poi nipoti e pronipoti, Gabriela e Livio con i 
        piccoli Samuele e Priscilla. Poi ancora, i padri Bernardo, Cancio e
        Cassiamo e le suore Lùcia e Celeste, tutti mozambicani che si trovano a
        Roma per studio o missione! Poi Maria Grazia, romana, la “mamma
        adottiva a distanza”, e Clementina, amica di vecchia data.  Confesso
        che ho provato tanta emozione (c’è da aggiungere che il Celebrante
        era il Superiore Generale dei Missionari della Consolata, padre Aquileo,
        che fu missionario in Mozambico): mi sono sentita tra la mia gente. La
        bellezza della cerimonia si può seguirla nelle foto. Personalmente ho
        avuto la gioia di portare all’altare l’ANFORA, che simboleggiava le
        Nozze di Cana, con la presenza di Gesù, la Madonna, gli apostoli, i
        convitati felici per l’abbondanza del “Vino nuovo”, donato a noi
        con abbondanza alle festeggiate e a tutti i presenti! Come
        non poteva mancare il rinfresco, accompagnato da canti, musiche di ogni
        continente. Le suore mozambicane hanno cinto me e altre sorelle
        provenienti dal Mozambico con la tradizionale “capulana”. Poi, nel
        silenzio più profondo, padre Cancio ha letto qualche pagina del diario
        di guerra del Mozambico, scritto dalle sorelle di Maua, negli anni
        Ottanta. Tra notizie da brivido con morti e feriti, le suore terminavano
        dicendo: “Noi però rimaniamo qui” e il padre ha aggiunto: “Quelle
        suore sono qui tra noi!”. Il
        27  maggio si è ripreso la via del ritorno, con sosta a Siena per
        immergerci nei luoghi che hanno visto crescere la santità di Santa
        Caterina da Siena e sognando di assomigliare un po’ a questa santa,
        mistica e missionaria, come ardentemente desideriamo esserlo anche noi,
        Missionarie della Consolata a cammino del Sessantesimo anniversario di
        Professione! INVITO 
 Carissimi Parenti e Amici 
 Il 22 maggio 2008 le Suore Missionarie della Consolata  il 22 maggio 2008 a Nepi VT,  in  Casa Generalizia insieme  | ||