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Ho visto don Antonio... 

 

Lunedì 25 agosto 2008, l’incontro

 

Dopo 15 giorni a Quito, capitale dell’Ecuador, per il Terzo Congresso missionario americano, si realizza il mio sogno familiare: vedere don Antonio nella sua nuova casa in Perù.

 

Il 25 settembre 2008, alle 9,30, l'aereo decollato a Quito, capitale dell'Ecuador, atterrava a Lima, capitale del Perù. Due ore sorvolando le Ande contemplando un panorama da mozzafiato: cime coperte di neve, fiumi che scorrevano in picchiata, poi tracciati di sentieri o di piste carrabili, forse su pareti brulle, certamente fino oltre i cinquemila metri di altitudine. Poi improvvisamente il pilota annuncia che si inizia l'atterraggio verso Lima ed eccoci piombare in un "mondo" di nebbia, nebbia da pianura padana con l'aereo che continua a scendere.

Una specie di brivido ci coglie: ma dove scendiamo? Cosa c'è sotto di noi? Più si scende, più si ha l'impressione di penetrare nella notte. Improvvisamente uno squarcio: vedo qualcosa di scuro su una pianura nuda. Dico alla mia consorella Suor Maria Luisa Casiraghi: "alberi", ci sono degli alberi. Lei scruta e risponde: "Sono pescherecci"… Ma e la pista? Scopriremo il giorno dopo che gli "alberi" erano realmente pescherecci ancorati nel porto di Lima, in attesa che l'oceano Pacifico lo fosse di nome e di fatto! Ancora banchi di nebbia, poi all'improvviso sentiamo di essere atterrati e lodiamo Dio.

Lo sbarco, l'arrivo dei bagagli, il superamento delle dogane fu rapido ed eccoci all'uscita. Un attimo di ricerca fra le persone in attesa ed ecco  il Don, sì, proprio don Antonio Colombo, mio fratello, missionario da otto mesi in Perù. 

Un abbraccio commosso, la presentazione dell'autista Pablo che ci avrebbe portato a Huacho con il fuoristrada della diocesi e via verso casa.

Lima: 14 milioni di abitanti, situata lungo la costa del pacifico, in zona desertica… Queste le prime notizie ricevute, mentre ci allontaniamo dall'aeroporto ed incontriamo le prime "Api - taxi", ossia la famosa, o imitazione, moto Piaggio a triciclo, dotate di una carrozzeria con sedile posteriore per passeggeri.

Pochi minuti di viaggio verso Huacho ed ecco quella che a noi sembra una "favela" anche se non ha l'aspetto di agglomerato come quelle di Rio de Janeiro. Pablo invitato da don Antonio spiega: "Sono "Asientamentos", terre occupate dalle migrazioni interne". Notiamo che su diverse case sventola la bandiera bianco rossa del Perù. Non un caso isolato e su casupole basse, su autentiche povere piccole baracche monofamiliari, costruite  di mattoni crudi, tetto a terrazza, senza spiovente né tettoia (una semplice stuoia, ci viene detto, perché a Lima non piove quasi mai, come a Huacho…) Veramente a me sembra che pioviggini… Per tutta risposta mi viene detto che, non piove, ma "serena", è la coltre di nebbia che si sta alzando, e "ci saluta", penso io.

Il traffico è intenso, ma non caotico. Abbiamo scantonata la metropoli e si continua fra due ali di "asientamentos" con le loro casette ben allineate seguendo tracciati di strade, qualche edificio in muratura, le bandiere, la rete elettrica… Il tutto è ben visibile perché il terreno è ondulato, collinoso. Ma come avvengono questi insediamenti? L'occasione per rispondere a questo interrogativo non espresso, viene da Pablo che (parla spagnolo, ma lo capiamo benissimo: da 15 giorni non sentiamo che questa lingua) indica con un nome la zona che stiamo attraversando. Un nome, maschile, poi un altro femminile, che a noi non dice niente, ma che è importante per capire il processo usato in Perù per occupare, lo vedremo poi, anche zone desertiche, trasformandole in centri abitati.

Il nome maschile è quello di Fujimori, l'ex Presidente della repubblica e quello femminile è di sua figlia. Questo per dire a chi comanda e vorrebbe con la forza cacciare gli intrusi che di notte, in forte gruppo, hanno occupato la terra, piantato tende di stuoie come i nomadi del deserto, issato bandiere peruviane: "Non siamo illegali. Siamo cittadini peruviani, la bandiera nazionale prova la nostra sottomissione alla legge e il nome dell'insediamento onora l'autorità legittima". E, se questo non bastasse, come avviene qualche volta, il popolo dei poveri affronta le teste di cuoio mettendo in prima fila la statua della Madonna e nessun soldato ha mai osato sparare. Ma mentre si parla e si guarda abbiamo percorso diversi chilometri ed arriviamo a un casello stradale che ci immette nella Panamericana, una bellissima autostrada che collega diversi paesi dell'America Latina (dall'Ecuador avremmo potuto arrivare in pulman). Ma a stupirci non sono i Tir che passano veloci, né le corriere, ma il paesaggio che sta diventando brullo, sempre più brullo: siamo nel deserto. Un vero deserto, fatto di sabbia, di dune, di montagne senza un filo d'erba, né un albero spinoso, … Suor Maria Luisa ed io ci guardiamo: non riusciamo a credere  ai nostri occhi. Eppure l'anno scorso eravamo state nella zona desertica del Nord del Kenya. Ma nel Chale vi era il sole, qualche cespuglio spuntava qua e là, qualche cammello spuntava all'improvviso.  Qui ci accompagnano la nebbia "padana", catene di monti nudi di vegetazione e questo per chilometri e chilometri. Poi, improvvisamente, il verde con coltivazioni ordinatissime. Non sono un miraggio, ma il "terzo" tipo di oasi del deserto, quello creato dal corso di un fiume! Infatti ci sono almeno tre tipi di oasi: quelle tipico del Sahara con le palme attorno a pozzi o paludi, quelle montagnose del Nord del Kenya che abbiamo visto nelle missioni di Maralal e a Marsabit, e queste formate dai torrenti d'acqua che vengono dai 5.000 metri delle Ande.

Cammina, cammina ed ecco che ci sembra di vedere in questo deserto delle serre di fiori, o di ortaggi, o comunque capannoni.  Niente di tutto questo: sono allevamenti di polli. Sì il deserto, questo deserto solcato dalla Panamericana a quattro corsie, è il posto ideale per allevare polli, e fornire il Paese di carne a prezzo accessibile al popolo. Infatti il terreno è tanto sterile e inospitale che neanche i virus della malattia dei polli può sopravvivere, per cui le spese di allevamento sono ridotte, i polli crescono in fretta, sani - grazie al mangime fatto a base di crusca di riso e farina di pesce - e tanto saporiti in pentola da sembrare "nostrani".

Ci avviciniamo a Huacho che si trova a 150 chilometri da Lima verso le 11,30. Don Antonio ci dice di guardare a sinistra verso l'oceano. Con un po' di fede e forzando la vista vediamo che davvero nel vicino orizzonte si stende il Pacifico, ma ha il colore del cielo e del deserto, non l'azzurro del Mediterraneo e molto meno quello dell'Oceano Indiano che conosciamo, ma… paese che vai, usanza  e clima e terra e mare che trovi!

Entrando in città, lo spettacolo continua. Centinaia e centinaia, non esagero, di "Ape - taxi"  si muovano come in un alveare, si fermano un attimo per scaricare un passeggero o per accoglierlo e riprendono il cammino; anche da macchine abbastanza malconce scendono e salgono passeggeri, senza intralciare il traffico che scorre in ordine sparso tra file di negozietti, gente che va a piedi, che si ferma ai chioschi.  Finalmente ci fermiamo e anche noi scendiamo davanti alla cattedrale di Huacho. Il Don incontra una persona e poi un'altra e a tutti ci presenta ( lui chiama già tutti per nome) e tutti lo salutano felici di vederlo. Ci presenta me come sorella di sangue e la mia compagna come consorella suora, entrambe missionarie in Africa: Mozambico e Etiopia. Così farà centinaia di volte nella settimana che siamo state con lui.

Siamo un po' spaesate, ma lo seguiamo tranquille. Entriamo in Curia, il don bussa a una porta che si apre e ci troviamo davanti tre o quattro sacerdoti dai tipici tratti somatici peruviani che ci accolgono festosi. Sono in riunione, ci dovrebbe essere anche il vescovo. Non c'è, è uscito un momento. C'è il suo telefonino sul tavolo. Sarà fuori. Ogni ricerca  è vana. Non c'è alla "Caritas",  né nell'ufficio dei Diritti Umani, né in alcun posto. Intanto zigzaghiamo fra un atrio e l'altro, un cortiletto e un altro incontrando persone, ripetendo la cerimonia di presentazione nostra a loro e loro a noi. Incontriamo… come ricordare tutti?

Monsignor Antonio ( si chiama proprio così) è irreperibile e allora saliamo  di nuova in macchina e andiamo alla casa parrocchiale del Divin Maestro dei sacerdoti milanesi dove abita anche don Antonio e che ci ospita.

È una casa bassa come tutte le altre, solo piano terra, con tetto a terrazza. Tutto minuscolo. All'interno vi è uno spazio quadrato, metà porticato con un lungo tavolo e banchi, l'altra metà a giardinetto dove cercano il sole una palma, un banano, un geranio, qualche altro ciuffo di fiori.

Mentre siamo a tavola, alle 13,30, sotto il portico, fanno capolino don Ambrogio che è in partenza per le vacanze e don Orazio che anche lui non si ferma perché pranzerà con un gruppo di giovani milanesi in "vacanza alternativa". Ci serve e mangia con noi la signora Carmen, la colf, una donna squisita dalla quale, in questi giorni impareremo tante cose sul Perù, usi costumi, geografia, storia, religiosità e produzione agricola.

Così è trascorsa la prima mattinata peruviana, non la prima giornata, inteso!

 

Nel primo pomeriggio, dopo un breve riposo, don Antonio ci porta a visitare la parrocchia del Divin Maestro che si trova a pochi passi da casa. Sul piazzale antistante qualche ragazzino gioca al pallone: il don li saluta e rispedisce loro con uno dei suoi tiri magistrali, il pallone che, guarda caso era finito fra i suoi piedi.

In un quadrato interno del cortile una signora dal volto  bruciato dal sole, sta bagnando il prato di gramigna. Presentazioni reciproche: lei è Rosita, io la hermana di sangue, missionaria…. E così sarà in questi giorni, tante e tante volte suscitando gioia e commozione.

Proseguendo la visita entriamo nello studio tecnico dove va in "onda" il sito informatico www. huacho.info

 

Ci riceve con grande entusiasmo William Ñaupari il tecnico - registra e scattano le prime foto, il primo annottare dei nostri nomi, la gioia di vedere come  la Chiesa sia viva in ogni angolo della terra. Nello studio ci sono due computer: in uno lavorano due ragazze, studentesse di informatica  che si addestrano nell'arte di comunicare in rete. La chiesa è chiusa, il don non ha le chiavi. Sarà per un'altra volta.

Usciamo, forse verso le 17. Dobbiamo andare dal Vescovo e in Cattedrale. Appena arrivato in strada, incrociamo le "api" che fanno subito l'occhiolino al potenziale e conosciuto cliente. A noi due viene il batticuore. Siamo assicurate? Ci sono i taxi "veri"? Non ne vediamo. Quito era pieno di taxi gialli, ma qui neanche l'ombra. Ma, un attimo dopo don Antonio fa cenno ad una macchina che a noi sembra una qualunque scassata macchina, invece è un taxi… e vi saliamo. Il conduttore appiccica un adesivo sul vetro con scritto Taxi e si parte in direzione all'episcopio. 

 Qui ci riceve con molta, molta cordialità mons. Antonio Santarsiero. Ci chiede del viaggio, a che ora eravamo arrivati da Lima. Prima di mezzogiorno, l'avevamo cercato in curia, ma era sparito nel nulla e nessuno riuscì a scoprire dov'era Monsignore! 

Il prelato fa un sorriso e risponde: "Antonio, non vedi come sono ordinato: sono stato a tagliare i capelli dal parrucchiere". Ci troviamo assolutamente a nostro agio: un vescovo missionario è una cosa meravigliosa. Senza cerimonie programma un viaggio missionario a Acos sulle Ande per mercoledì 27 e ci invita a pranzo domani, esprimendo un desiderio: mangiare un piatto di risotto alla milanese, un sogno che culla da vent'anni! Certo che possiamo accontentarlo: abbiamo portato lo zafferano, il vino non manca, né la cipolla e i dati o la carne per il brodo, ma il riso… che riso abbiamo a disposizione? Andiamo insieme in cucina. Il riso non è il vialone panciuto, ma una "risella" magra, magra. Ma niente paura: cercheremo nel supermercato e così facciamo.

Un taxi ci porta nella zona commerciale dove troviamo un riso che ci ispira fiducia, poi andiamo alla Cattedrale dove alle 19,30 il don celebrerà  la Messa.

 La Cattedrale profuma di "fresco". Infatti è appena stata rimessa in sesto per il Cinquantesimo di creazione della Diocesi. L'edificio invece risale a non so quanti secoli fa, ma non ha più la maestosità delle origine perché un terremoto, o certamente più di uno, hanno distrutto l'imponente facciata, fatto crollare il campanile e le torri… Ma, come dicevo, è stata messa a nuovo, tinteggiata e arricchita con la cappella dell'adorazione perpetua del Santissimo Sacramento esposto.  

                        

Queste notizie ce le dice il don, mentre entriamo in Chiesa che descriverò in seguito perché è tutta una sorpresa per noi. 

Suor Maria Luisa ed io prendiamo posto nel primo banco, non senza essere state presentate, abbracciate, ricevuto il benvenuto da diverse persone e poi presentate a fine Messa all'assemblea, fatto che ha provocato tanti inviti: dalle suore che vivono nell'Asientamento, quelle che assistono gli handicappati, la signora responsabili dei "botteghini" di medicinali parrocchiali, del "comedor"… Non è che capiamo molto, ma don Antonio dice di sì a tutti, e a noi va benissimo.

Un altro taxi ci porta al Divin Maestro, la chiesa è aperta e dall'interno arrivano dei suoni. Senza indugio siamo trascinate verso il punto luminoso: troviamo un gruppo corale, che fa prove di canto. E' un gruppo misto: ragazzi e ragazze peruviane e milanesi, una suora italiana di Parma e don Orazio. Ci felicitiamo per la gioia dell'incontro e finalmente rientriamo per la cena: sono le 20,30!  

       

A dire il vero non ricordo bene come sia andata poi la serata. Forse abbiamo telefonato in Italia per dire che eravamo a Huacho… ma verso le  22 eravamo già a letto sapendo che alle 7,15 del mattino seguente dovevamo essere in piedi per andare in Cattedrale per  la Messa.

Prima di addormentarci, suor Maria Luisa ed io ci scambiamo qualche battuta: quante emozioni e che bello trovarci al calduccio sotto le coperte, nella cameretta dal basso soffitto con le canne di bambù a vista.

Grazie Signore, di tutto, di tutto.

Huacho, 26 agosto 2008  

 

Alle 7,15 usciamo puntuali di casa e dopo quattro passi, davanti all'Ospedale troviamo il taxi che ci porta in cattedrale. Entriamo in chiesa e, prima di prendere posto nei banchi e il don di andare in sacrestia passiamo nella cappella dell'Adorazione. Con  grande sorpresa troviamo diverse persone  raccolte in adorazione. Sono certamente fedeli che sostano pochi minuti in preghiera prima di andare al lavoro. Infatti c'è un silenzioso movimento di adoratori che entrano e escono: una cosa che commuove.

La cappella è essenziale. Sul fondo campeggia l'ostensorio poggiato su una nicchia quadrata protetta da una porta di vetro, due bellissimi mazzi di fiori sul pavimento e , fra uno e l'altro, un tavolino porta rivista.

Don Antonio, che ha avuto parte nell'ideare questo angolo per l'Eucaristia, ci dice che si è ispirato allo stile della casa moderna incontrata su una rivista specialistica dove il centro della sala è orientato al riquadro creato nella parete centrale per riporvi la televisione. Qui, questo posto d'onore è riservato a  Gesù sacramentato!  

 

La Messa ha un tocco di solennità per la presenza di tre diaconi, tre giovani teologi della diocesi che da poco hanno ricevuto il diaconato e che l'anno prossimo saranno ordinati sacerdoti. A loro fare le letture ed anche la piccola omelia. In chiesa c'è un discreto numero di fedeli.

Dopo la colazione, nella casa della cattedrale, visitiamo il "botteghino delle medicine" che è la sede centrale delle minifarmacie per i poveri che troveremo anche in altre parrocchie, dove si alternano volontari - farmacisti, ma anche medici e dentisti nel dispensario annesso - per l'assistenza ai più poveri fra i poveri. Le medicine sono cedute a prezzo simbolico, e l'assistenza pure. Guardo con occhio "esperto" il tutto, e godo perché nello scaffale ci sono davvero tutte le medicine essenziali per bambini e pazienti adulti. La signora che ci accoglie  è poi di una gentilezza squisita. Da lì passiamo al "Comedor", ossia alla mensa dei poveri dove il fuoco è già acceso e qualcosa bolle in pentola.  

      

Come ambiente non è gran che: sembra quasi un budello di spazio, ma profuma di pulito perché le pareti sono state tinteggiate da poco, sui tavoli ci sono tovaglie nuove di plastica… Le cuoche e l'aiutante ci vengono incontro sorridenti. Il don li interroga. Va tutto bene? E guarda con occhio critico. L'architetto è venuto? Funziona questo o quello... E, il personale, quasi incredulo di tanta attenzione, timidamente spiega che sì, questo e quello è stato aggiustato, che gli ospiti (una settantina che si alternano dalle 11,30 alle 14, sono felici del sentirsi accolti ORA in un ambiente tanto bello, ma… ecco un lavandino si ottura sempre… il congelatore non congela…. "Parlate con Tizio, con Caio, risponde il don, poi verrò a vedere e verrà anche l'architetto.

Ma questo architetto dovrebbe già essere qui. Lui lo chiede a tutti, ma nessuno l'ha visto… Si farà trovare in pomeriggio. Era andato a Lima per non so acquistare un apparecchio per gli altoparlanti della cattedrale con l'ordine di trovarne di buoni e non made in Cina. Ricerca risultata inutile. Anche nel negozio dei giapponesi di Lima, dirà poi l'architetto, tutto è cinese.  

Passiamo da un ambiente all'altro con una certa fretta, soprattutto quando le persone vogliono dirci che la situazione è migliorata  per l'intervento del Don, lui ci trascina fuori, l'importante per lui è che le cose siano fatte bene e si sa, non gli sfugge neanche una virgola.

Sono passate le 9 quando ci rimettiamo in taxi verso casa. Oggi è la Giornata dell'Anziano e lui, il Don, deve andare a benedire… non capiamo chi e dove. Lo vedremo tra poco. Noi pensiamo che per le  11 dobbiamo tornare andare a fare il risotto alla milanese per il vescovo…  

      

Alle 10 in punto don Antonio ci strappa da casa e ci porta verso l'ospedale che si trova a quattro passi. Riso, zafferano e dadi sono già in borsa. Arrivati alla cancellata, del grande ospedale, mentre è indeciso se spedirci o portarci dentro temendo che non ci sia ancora nessuno per la cerimonia, gli uscieri gli dicono che lo stanno aspettando; gli anziani, erano già rientrati dalla sfilata lungo le vie di Huacho… Felice e sorpreso per tanta puntualità, il Don ci trascina dentro con grande rammarico del taxista che sperava di avere clienti. Cosa vediamo? Sul grande spazio dove forse stazionano le autoambulanze sono stati piantati dei tendoni. Tutto è imbandierato e ci sono striscioni cubitali da ogni parte, fotografi, microfoni e… noi sulla tribuna d'onore. Ci sediamo. Un coro canta. Don Antonio veste il camice, mette la stola, posiziona l'aspersorio per la benedizione e si siede. Mi sussurra: "Preparati  a dire sull'Africa, sugli anziani…". Guardo, mentre mi spremo le meningi per scovare nella mia mente qualche cosa di significativo pescando nel mio mondo mozambicano. Uno dopo l'altro scarto le ipotesi che trovo luogo comune, poi una luce si accende. Forse il mio viso si illumina e lui si accorge. "Sei pronta?", chiede. "Sì". Intanto si era fatto silenzio. Il Don esordisce dicendo che anche noi tre apparteniamo alla "Età maggiore" come si dice in Perù delle persone anziane. Maggiori, lui, e la sua hermana madre Dalmazia e la madre Maria Luisa… missionarie d'Africa, in Mozambico ed Etiopia. Tutti ci guardano, applaudano. Non ricordo cos'altro abbia detto. Poi venne la mia volta. Parlai in portoghese, anche se seguita da traduzione perché l'affinità del castigliano con il lusitano permette di seguire il filo del discorso.

Racconto  dell'incontro di un anziano papà con il figlio che aveva trascorso 10 anni all'estero. Di come, nell'intimità l' "uomo maggiore" ascoltava il giovane figlio narrare le sue vicende con attenzione e partecipazione. Poi riferii il momento toccante in cui il vecchio Valerio all'udire che la sua creatura era stata nella Terra Santa esclamò: "Figlio i tuoi occhi hanno visto dove ha vissuto Gesù? Ecco ora i miei occhi  attraverso te vedono la Terra santa: sia benedetto il Signore" e volle ritirarsi per assaporare quella visione.

Dopo altri interventi, la benedizione, arrivano le alte autorità provinciali: è un sollievo perché possiamo ceder loro il palco e, dopo poco, don Antonio si congeda riferendo che ha un appuntamento con il Vescovo, ma non corriamo in vescovado. Il taxi riceve l’ordine di portarci alla tipografia dove si deve stampare l’edizione spagnola di “Economia Domestica”. Arriviamo. Il tipografo mostra la bozza. Io sto in silenzio, ma suor Maria Luisa che è la direttrice di “Andare alle genti” con il don da esperti guardano, controllano, indicano correzioni… poi la sentenza: per sabato a mezzogiorno devono essere pronte le prime 300 copie. Il tipografo si schernisce: impossibile, ha molto lavoro, non può far lavorare le macchine anche  di notte… Don Antonio senza replicare, né lasciarsi intimorire tira dalla tasca una busca e la consegna. L’uomo la apre ed ecco apparire un mazzetto di banconote. In silenzio le conta, le riconta ed esclama: “Ma sono il pagamento totale!”. “Certo, è la risposta e sabato mezzogiorno lavoro completo”. E così fu. Alle 12,30 del sabato il don arrivò con un’ “Ape” carica di scatoloni.

Non descrivo l’emozione di cucinare il risotto alla milanese, la paura che non venisse buono, la gioia di sentirlo “milanese” e di servirlo a tavola fumante per la gioia incredibile del vescovo che quasi non credeva ai suoi occhi.

L’indomani, però, sarebbe stato lui il cuoco, su in montagna dove andremo in visita pastorale. Il suo piatto: spaghetti, olio, aglio, peperoncino a ricordo delle sue origini italiane.

 Con pranzo verso le 14, essere pronti alle 16 per un’uscita dopo essere  tornati a casa, è un po’ dura, per chi immaginava che la settimana di Huacho sarebbe stata tranquilla, tranquilla.  

        

Ebbene alle  16 siamo pronte e via. Dove? Verso la periferia in uno dei quartieri degli “Asientados” dove lavorano due “suorine” peruviane, una di discendenza spagnola ed una  india. Un dieci minuti di taxi e ci siamo. Le suore, nella casupola che non si distingue dalle altre, non ci sono. Ci dicono che sono nella cappella per la Festa degli anziani. Ci avviamo a piedi, respirando terra, guardando con sguardo sofferto, ma anche con speranza le case poste ordinatamente  lungo strade larghe, i pali della luce… C’è poco movimento: la gente è al lavoro, i bambini ancora a scuola. Arriviamo alla chiesa: una bella costruzione ampia. Ma  ci illudiamo se pensiamo di entrare in chiesa a pregare. Nella cappella si stanno festeggiando gli anziani, seduti faccia faccia lungo due file di banchi, rallegrati dalla chitarra e dalla voce  limpidissima di uno di loro. Entriamo, siamo accolti con gioia, prendiamo posto, ascoltiamo i canti. La suora invita anche a ballare… ci provo anch’io… è la festa degli Anziani. Viene servito un bicchiere di latte e cioccolato, un grosso pane presi con tanta devozione.  

       

 

 

Guardo quei volti: simili per le rughe, ma molto diversi nelle fattezze. Infatti alla presentazione di ognuno (una trentina) si scopre l’afro discendente, l’indio di una valle del nord, un altro della valle del sud: misti con spagnoli, con cinesi… E ognuno con un mare di ricordi, musiche diverse… La sezione termina con il “Padre Nuestro” la benedizione del don e un abbraccio.

Si ritorna sui nostri passi. C’è più movimento per le strade e davanti alla casa delle Piccole Suore di Foucauld un gruppo di ragazze gioca a pallavolo con una rete che attraversa da un capo all’altro la strada. Salutiamo, entriamo nella minuscola casa. Un armadio si apre: è il “botteghino delle medicine”; una minuscola porta ci porta in un angolo di casa (misure da gnomi) trasformato in cappella con Gesù nel tabernacolo. Uno dei problemi maggiori è l’acqua che si deve comperare dall’autobotte e costa… Nessuna goccia è sprecata, per cui, fuori casa, protetto da una rete, un giardinetto largo un metro che rende civettuola la casa delle suore, ma anche di qualche vicina che ha scoperto da loro come si può far fiorire il deserto…

Se pensiamo che fra qualche momento ci si alza e si va sulla strada ad aspettare il taxi, siamo proprio fuori onda. Si deve andare a vedere il “Comedor” la famosa mensa dei poveri che non può starci in un armadio, naturalmente.

Fuori le ragazze hanno terminato di giocare, e stanche  e sudate sono sedute sul ciglio della strada. Al saluto, una birichina mormora: “aranciata…” . Eh sì, se la sono meritata, dice il don ed ecco che spuntano dalla sua tasca due o tre monete per una bottiglia di aranciata… E’ la festa anche dei giovani…  

Calcolando che la chiesa era a cento metri, pensavo che il comedor fosse al massimo a 200. Invece! Cammina, cammina, su e giù per una strada che non finiva mai, con accanto la suora più anziana che mi pregava di andare adagio perché lei è malata di cuore e se corre… Forse dopo una mezz'oretta arriviamo. Il comedor è un ampio locale nuovo. La suora ci dice: “Se non fosse per don Antonio… sarebbe ancora… i bambini siederebbero in terra…”. Vorrebbe raccontare, raccontare, ma mio fratello taglia corto: “Basta con questa litania. Piuttosto i banchi sono sufficienti, quanti vengono,  cosa mangiano i bambini… Ecco, risponde: “Bastano, perché i bambini sono un centinaio, ma non vengono insieme. Si comincia  alle sei del mattino per la colazione per i bambini del primo turno di scuola e si finisce verso le dieci per quelli che vanno al pomeriggio. Poi a mezzogiorno c’è il pranzo per i primi e l’ultima mensa è alle 4 del pomeriggio”. Poi alla sera c’è la scuola  per adulti, scuola di religione e non so che altro… Si commuove la suora raccontando che ha visto rinascere la vita nei bambini mal nutriti, diventare vivaci e interessati ed ottimi studenti  ed altri perché non si addormentano più di fame sui banchi di scuola. Una scuola che è a un’ora e più da lì, strada da percorrere a piedi…  

       

Come provvede? E battendo ora una porta, ora un’altra nei negozi. Chi le dà un sacco di riso, chi farina, pesce… La pulizia  è curata dalle mamme del posto a turno… i lavoratori della baraccopoli sono soprattutto braccianti agricoli. A volte ricevono gli scarti e lo condividono con loro….

Si è fatto buio. Alle 19 e 30 il comedor diventerà scuola. Gli alunni sono lavoratori che tornano dalla città e passano subito in classe e allora per loro ci sarà una tazza di tè fatto di erbe e un piccolo pane…

Arriviamo in cattedrale che la messa delle serale è quasi terminata. Don Antonio si mette vicino al confessionale e subito appare qualche penitente.

Alle 20,30 cena nella casa del Divin Maestro dove sorridente ci attende la signora Carmen che ha già preparato cena e tavola.

A nanna presto, perché domani si va in alta montagna con monsignor Antonio. In camera ci chiediamo. Come vestirci? Se qui fa freddo, chissà in montagna… Meno male che abbiamo maglioni e giacca a vento e felpa… Non servirà niente, ma questa è un’altra storia.

 

 

 

Ho visto il Don…

Mercoledì 27 agosto 2008 verso le Ande

 

Oggi per tutta la famiglia Colombo, per l' "arcadinoè" è un giorno molto caro perché compleanno di mamma Giuditta che nel cielo compie 101 anni. 

Noi "peruviani" iniziamo la giornata dirigendoci verso Acos sul fuoristrada guidato da Pablo, con accanto monsignore e noi tre sul sedile posteriore. Di Acos so solo che è in montagna e che ci vogliono due ore e mezzo per arrivarci. Abbiamo cercato di informarci se non è oltre i 2.000 metri ricevendo risposte vaghe.

Sono circa le 7,30 quando lasciamo Huacho e ci immettiamo nella Panamericana che abbandoniamo dopo 70 chilometri per svoltare a sinistra, ossia verso la catena andina.  

Il paesaggio non presenta, ormai per noi grandi novità, agli inizi. Poi ci troviamo ad  attraversare una valle molto ben coltivata: campi immensi di carote, di carciofi, di fagioli, fragole, mais…

Dopo un'oretta attraversiamo la città di Huaral che fu fondata o colonizzata da giapponesi immigrati in Perù come braccianti decenni e decenni fa. La presenza cinese si nota nei "Moto taxi" molti dei quali sono veri e propri "risciò" a pedale  o motorizzati.

Superata Huaral, il vescovo ci comunica che diamo addio alla strada asfaltata e si comincia la salita.

Infatti imbocchiamo una strada sterrata che si incunea in una valle stretta fra due catene di montagne brulle, probabile regno di serpenti e di scorpioni. Mentre avanziamo, una cosa ci rallegra: la nebbia rimane alle nostre spalle, il cielo è azzurro e la temperatura  comincia a salire fino a 26 gradi. Sì, incredibilmente, più si sale e più fa caldo, più la temperatura si alza.

Mentre attraversiamo la gola desertica, don Antonio ci invita a recitare il Rosario dell’Aurora, una tradizione peruviana. Lo facciamo volentieri e lo terminiamo poco prima di raggiungere un villaggio con la sua chiesa in stile coloniale, che visitiamo.  

        

Riprendiamo il viaggio non più in valle desertica, ma attraversata da un fiume, perciò coltivata. Impressionano i campi di mais – alcuni da poco seminati, altri con le  piante con il pennacchio e  altri ancora con le pannocchie mature – le piantagioni di ortaggi, i frutteti: mele, pesche, banane, poi anche canna da zucchero… Miracoli dell’irrigazione e del lavoro di questi campesinos che dissodano la terra tutta  a mano: non abbiamo visto un trattore.

Verso le 11 arriviamo ad Acos, accolte da quattro giovanissime suore peruviane che si trovano in questa parrocchia da soli due mesi!  

                                                    

Siamo accolti con tanta cordialità in una casetta linda, a due piani che fu di suore francesi. Ci viene offerta una buona colazione, con marmellata prodotta da loro stesse, tè di erbe ristoratrici. Sul tavolo vasi di viole  del pensiero. Dopo qualche tempo arriva anche il parroco residente nella valle, padre Annibale. E’ un giovane, anche se non giovanissimo,  sacerdote peruviano. Notiamo però che non si muove con agilità come se avesse la schiena rigida. Non ci sbagliamo: è rimasto quasi congelato dal freddo visitando le comunità oltre i 5.000 metri dove di notte il termometro va sotto zero e non c’è il riscaldamento!

Mentre il vescovo, i due don, e la superiora parlano e visitano il convento, suor Maria Luisa ed io, con  due suore usciamo sulla strada che a quest’ora comincia ad essere trafficata perché arrivano da Lima i camion che raccolgono le cassette di frutta e verdura che la gente pone pronte lungo le strade. Visitiamo uno di questi frutteti di mele, pesche, avocado. Il paese oltre che lungo la strada, si inerpica sul fianco della montagna. Le suore vorrebbero portarci a visitare la parrocchia, ma facciamo orecchio di mercante, anche perché non la vediamo dal basso. Chissà dov’è! Improvvisamente si sente un alto parlante venire dall’alto: è il telefonista che avvisa un cittadino, che c’è una chiamata per lui. Ad Acos infatti, i cellulari non hanno campo e c’è solo il telefono pubblico, un solo canale di televisione, niente internet.  

     

Ci avviamo verso casa pensando essere quasi l’ora di pranzo e invece troviamo Pablo al volante e riceviamo l’ordine di salire sul fuori strada per andare ad Lampian! Ci assicurano che non supera i 3.000. Ma ci vorrà più di un’ora ad arrivarci, salendo, salendo, con curve come quelle che si vedono nei film e su per quelle strade che vedevo dall’aereo… Per precauzione io guardo sempre verso la parete del monte, che si trova alla mia destra e non verso valle, verso il burrone che ci accompagna, anche se di tanto in tanto ammiro anch’io lo splendido panorama.

Più saliamo, più visibili diventano i tracciati dei sentieri. Però non si vedono paesi appollaiati sulle montagne come da noi. Solo linee che sembrano scarabocchi su un foglio di carta appeso: i villaggi si trovano oltre, così ci viene detto.  

    

Arriviamo a Lampian. Ci fa da cicerone il sacerdote peruviano che ha voluto accompagnarci, nonostante il suo mal di schiena.  Non c’è molto movimento di persone fra le case perché gli abitanti sono in campagna e nei pascoli in altura.  Ma troviamo una chiesa splendida, con affreschi dorati, il Cristo morto, il Cristo risorto, statue di Madonne e santi con vestiti ricamati in oro, ma senza sacerdote residente, come tante e troppe chiese che possono godere della Messa e dei sacramenti solo una volta o due all’anno.   

            

Legata a questa chiesa c’è anche un ricordo triste: qui il gruppo terrorista “Sendero Luminoso” ha trucidato nel 1983 un missionario spagnolo padre Vicente Hozarda e con lui tante altre vittime, tutte gente povera.  Mistero della storia.

Nel ritorno ad Acos, guardo a “sinistra”. Come  faccia Pablo a guidare su quella striscia di strada tutta curve non so. E dire che a volte  occorre manovrare per lasciar passare camion che viene in senso contrario!

Arrivati troviamo l’acqua che bolle in pentola e monsignor Antonio mantiene la promessa preparandoci, aiutato da suor Maria Luisa gli spaghetti, veramente saporiti, olio, peperoncino e un vino cileno. Noi li divoriamo (sono quasi le quattro del pomeriggio). Qualche suora fa buon viso a cattivo gioco, ma una non ce la fa proprio a mandar giù quello che per noi è un piatto da ristorante di lusso.  

       

Dopo pranzo il Vescovo raduna la comunità delle suore. Don Antonio riesce a liberarsi dal vescovo che continuamente lo chiama … “Antonio, Antonio… vieni a vedere, guarda cosa si può fare…” e ci trascina via per andare a vedere la parrocchia. Abbiamo un momento di panico per la paura di doverci arrampicare su per Acos, ma ci sbagliamo: ci porta su Pablo, con la macchina. Basti dire che la strada è così ripida che solo con la “riduzione” il bolide giapponese Toyota riesce a vincere la pendenza. Lassù tutto è splendido, ma don Antonio dice: “Non potrò mai essere parroco di questa parrocchia”. Lo credo bene.

Com’era da immaginare, appena torniamo, l’atteso è don Antonio che il vescovo aspetta perché – occorre saperlo – è il “cappellano” diocesano delle religiose e dovrà visitarle regolarmente ovunque siano.

Il sole spariva  già all’orizzonte, quando ci avviamo verso Huacho ed era notte fonda quando arriviamo a Huaral. Ma l’ora non era tarda, le 19.30, perché si sa all’equatore è subito notte dopo il tramonto, per cui passiamo a salutare due missionari spagnoli residenti in questa città. Un incontro bellissimo. In parrocchia c’è un incontro dei giovani. Lungo le strade è tutto un andarivieni di gente a piedi, di moto taxi, risciò. I negozi sono aperti, le bancarelle vendono di tutto.  

Salutati i sacerdoti, si vuole visitare anche le suore di clausura, arrivate da poco, anch’esse spagnole. Sono circa le 21. Arrivati davanti al convento, il Vescovo scende, suona il campanello, attende, bussa… nessuno si fa vivo ed egli ritorna sui suoi passi. Il don lo prende in giro: “Non si va di notte da suore di clausura!” Domani scopriremo cosa è successo.

Riprendiamo il viaggio. Il cellulare del vescovo comincia  a suonare. Siamo ormai in zona “globalizzata”. Stiamo per iniziare il rosario della notte quando siamo invitati ad attendere qualche minuto. Forse una chiamata importante. No, il vescovo ci indica degli spiazzi di luce a giorno che si vedono nella pianura. Immaginiamo sia qualche stadio illuminato a giorno. No, sono  coltivazioni di fiori. Per far sì che non si chiudano al calar del sole, sono illuminati a giorno, così continuano a crescere, a fiorire, ad essere pronti per il mercato che è fiorente sia interno al Perù perché c’è molto il culto dei fiori, sia per esportare all’estero.

E con quella visione di fiori, i fiori che tanto piacevano alla mamma, recitiamo il rosario terminandolo con il “Dio sia benedetto”, come facevamo noi a Casatenovo, nel giorno del suo compleanno, pregando sulla terrazza dopo aver mangiato l’anguria.

Domattina dopo Messa andremo ad Huaral, dalle suore di clausura, con i mezzi pubblici.

 

 

Ho visto il don…

Giovedì 28 agosto 2008, dalle Suore di clausura

 

Alle 8,50 del 28 agosto, festa di Sant’Agostino, siamo sul pullman che ci deve portare a Huaral, dove don Antonio va ogni 15 giorni per le Confessioni nel monastero delle suore di Clausura che ieri sera non hanno aperto la porta al vescovo. Prima di partire, dopo la celebrazione della Messa in cattedrale, con il don avevamo parlato con gli artisti che stanno “indorando” la nuova pala d’altare della cattedrale, una meraviglia che non si può descrivere, solo contemplare. Gli artisti sono tutti peruviani usciti dalla scuola organizzata da “Mato Grosso”. Solo don Antonio sa dire di più e farci avere belle foto.  

Arriviamo alla stazione dei pullman alle 8.50. Il pullman partirà solo alle  9,20, perché ci dicono che abbiamo perso quello delle 9,00. Mistero!  Abbiamo così avuto il tempo di seguire quanto avveniva all’angolo della strada. Una signora “maggiore” aveva appoggiato su uno sgabello una cesta. Di tanto in tanto qualcuno si fermava, ordinava e lei apriva la cesta e serviva, secondo ordinazione, su un piattino di plastica o solo una patata  bollita che sbucciava e tagliava a fettine e condiva con sale, o un uovo sodo, anch’esso affettato e salato, o patata con uovo e sale. Il cliente, pagava, mangiava e restituiva il piattino, Certamente era la colazione di lavoratori!

Abbiamo anche il tempo di osservare i prezzi del biglietto Huacho – Huaral e notare una cosa strana: nei giorni festivi il prezzo era più del doppio. Dopo un’ora e mezza arriviamo a Huaral, scendiamo, saliamo su un taxi ed eccoci al monastero delle Schiave del Santissimo Sacramento e della Immacolata, una congregazione di clausura di origine spagnola. Sono in Perù da due o tre mesi. La casa- monastero è in città, non ha giardino. Gli operai stanno ancora lavorando per adattare la costruzione alle esigenze delle monache che sono cinque, appartenenti a 3 nazionalità: Spagna, Messico e Porto Rico.  

 

Ci accolgono con tanta cordialità e rimangono di stucco quando Don Antonio, fra il burbero e il faceto, dice loro che ieri non hanno aperto al vescovo! La colpa, assicurano, non è della “clausura” - perché a quell’ora erano in  ricreazione -  ma del campanello che a volte suona e a volte no...

Parliamo con loro con molta spontaneità, in tre lingue (si fa per dire): spagnolo, italiano, inglese. Sì anche inglese perché la Madre è stata tre anni in Kenya ed una suora ha studiato, mi pare, negli USA. La loro vocazione è l’adorazione perpetua. Notte e giorno, anche se sono solo cinque come a Huaral, e guadagnano da vivere confezionando, con ricami a mano o a macchina, paramenti liturgici. Ce ne mostrano alcuni: sono splendidi. Offro la corona missionaria fatta di perline, dalle nomade del Kenya e mi accorgo che la Madre le “riconosce” e mostra un portachiavi di perline con scritto Kenya, ricordo dei suoi tre anni trascorsi nel Monastero di Nairobi!

Non racconto del ritorno a Huacho: taxi, pulmino super affollato fino alla Panamericana, pullman proveniente da Lima, taxi…

Per fortuna che la signora Carmen aspetta ,sempre tranquilla, l’arrivo dei commensali.

Ma se noi pensiamo di riposarci, ci sbagliamo. Prima di sera si deve andare a vedere il tramonto. Non sarà bello, perché non c’è il sole, dice il don, ma  il mare è sempre mare e l’oceano lo è di più.

 

Obbedienti andiamo, all’ora stabilita delle 17. Qui il bello è che non si perde tempo ad aspettare i mezzi pubblici. Esci in strada e i taxi passano sempre, con tre o quattro ruote.

 

 

Arriviamo in spiaggia scendendo giù dalla collina come in Liguria. Forse è per questo che emigranti genovesi del 1880 sbarcando in Perù hanno scelto Huacho come loro nuova patria. Infatti ancor oggi sono presenti discendenti di genovesi, compreso il parroco don Angelo Bisso che incontrandoci ci fa una grande festa come suoi “paesani”. Incontriamo anche una signora che dice in italiano che il mondo va male perché l’inflazione galoppa…  

    

   

 

Il cielo è grigio, non si vede nessun sole, ma nel porticciolo ci sono le barche ed  una si chiama proprio Maria Luisa. Nel porticciolo i pescatori rassettano le reti, due barche prendono il largo ed un brivido ci coglie… siamo ai tempi del Vangelo!  

   

Poi raggiungiamo la spiaggia: vorrei proprio almeno toccare l’acqua. Ma è lei che mi investe con una onda più forte delle altre. Altro che Oceano Pacifico. Da lontano si vede  una squadra che gioca al pallone  in spiaggia. Chi ferma il don, anche se  siamo all’imbrunire? Arriviamo al campo, un saluto ai giocatori, una foto e su per la scarpata. Stavolta però non si vedono taxi di nessuna qualità. Poi spunta una piccola “Ape” e si ferma. Vogliamo salire? Ma come fa a portare noi tre su per la salita? Il conducente ci assicura: si può! Ci stringiamo in tre sul banchetto e via. Splendida Ape, non ha fatto un lamento e ronzando veloce ci porta a casa. Una foto mentre il don paga ci vuole… e la facciamo per dire a noi stesse che davvero siamo andate in tre sulla groppa di un’ “Ape”.

 

 

Ho visto il don…

Venerdì 29 agosto 2008, un battesimo in ospedale

 

Da qualche giorno in Perù, ed Huacho non fa eccezione, non si sente parlare che della festa di santa Rosa da Lima, patrono del Paese, ma anche di tante parrocchie, associazioni e corporazioni professionali, comprese le forze dell'Ordine essendo stata dichiarata "Marescialla" suprema.

In questa vigilia della sua festa si intensificano i preparativi e giungono le telefonate anche  a Don Antonio perché non dimentichi gli appuntamenti che, cominciano alla vigilia…

Fra i sacerdoti, forse il più tribolato è padre Saverio, il parroco della Cattedrale che dovrá viaggiare  tutta notte per raggiungere Oyon oltre i 5.000 metri di altezza, 10 ore di pullman, celebrare in due miniere di argento e rame, perché Santa Rosa è la patrona dei minatori, e tornare  subito con altre 10 ore di viaggio. Dare ai minatori la gioia della presenza sacerdotale è più importante di ogni fatica. Ce la farà: la Santa gli darà una mano.

Don Antonio ci dispensa dal seguirlo per benedire le nuove installazioni elettroniche e le ambulanze dell'ospedale Regionale che sta  davanti a noi. Passiamo la mattinata a stirare, stirare una montagna di biancheria che aspetta da qualche tempo di essere rimessa in circolazione. Lo facciamo volentieri e mentre siamo in veranda, ci accorgiamo che un raggio di sole squarcia la nebbia ed il cielo a poco a poco diventa azzurro: il primo sole  vero di questi giorni, qui in città.

Verso l'una e mezza il don torna. Incredibile, ma oltre ogni sua aspettativa, ha potuto vedere ed essere informato sui risvolti tecnico-diagnostico di tanti macchinari arrivati nuovi di zecca, già collocati nei vari ambulatori, tutti all'avanguardi e tutti benedetti, uno per uno: ambienti, macchinari, personale addetto e potenziali pazienti, ogni automezzo compreso. E' contento, ma ci dice che subito dopo pranzo dobbiamo andare ancora all'ospedale perché è stato chiamato per il Battesimo ad un neonato in pericolo di vita, per problemi cardio – respiratori.

Così è. Appena pranzato, ci avviamo verso l'ospedale. Il cancello d'ingresso si apre immediatamente appena il guardiano vede il Don e saliamo verso il reparto di neonatologia. Il bimbo si trova oltre il vetro della terapia intensiva. Un'infermiera ci accoglie, parla con il don, le porge un "camicione" a fiori per entrare nella zona sterile. Nel frattempo si vestono anche i genitori e i padrini del piccolo  agganciato al respiratore e ai monitor.

Noi assistiamo all'amministrazione del Battesimo attraverso il vetro e accanto a noi c'è l'infermiere che vigila i monitor. I genitori sono giovani, al loro primo figlio e sono la statua del dolore, ma anche della tenerezza. Così pure il Don che con tanta pietà e partecipazione realizza il rito. Tutto il rito del battesimo. Interroga i genitori sulla loro volontà di battezzare la loro creatura, guida la loro mano al momento delle unzioni per segnare la croce sulla fronte il loro  bimbo e al momento di versare l’acqua la fa mettere sul petto e consegna alla mamma il purificatoio perché asciughi la testa del neo battezzato. Quanta tenerezza in ogni gesto! All’uscita secondo la prassi firmano il documento e, perché la famiglia possegga il certificato, aspettiamo che il papà vada a fotocopiarlo.Con tanta partecipazione e umanità ci congediamo godendo di vedere tanta serenità sul volto di tutti. Il piccolo volerà in cielo dopo 12 ore.

Nell’uscire dall’ospedale, una coppia che ci aveva sentito parlare fra noi in italiano  ci saluta nello nostra lingua: sono genitori felici di un bimbo, erano stati in Italia per lavoro. Non è la prima volta che incontriamo persone che hanno lavorato in Italia, e tornati in Perù (anche in Ecuador) sono riusciti a migliorare la loro situazione economica. Che bello!

 

Ma non abbiamo molto tempo da perdere perché dobbiamo andare al seminario minore per un incontro missionario sull’Africa, voluto dal Vescovo.

Il seminario si trova ad Huaura, una cittadina appena fuori da Huacho, anzi confinante. Il don contratta un taxi, e via di corsa. L’appuntamento è per le 17. Arriviamo puntuali. I seminaristi, una trentina  di liceali sono subito radunati nella grande sala. E’ pronto anche il video proiettore per il CD, ma, dai che dai, non funziona, è incompatibile. E allora il famoso CD sulla Zambia tanto caro a Don Antonio e ai suoi amici, deve accontentarsi del minischermo del computer. Ma i ragazzi hanno occhi buoni e seguono con crescente interesse e stupore le foto che scorrono sul video, la natura, gli animali, le persone, le missioni…

Poi siamo invitate a presentare l’Etiopia e il Mozambico per spiegare che siamo missionarie della Consolata, ad gentes e ad vitam… Il Don che ha sempre una sorpresa per farmi parlare, tira fuori dalla sua borsa il mio libro “Mozambico: insieme verso il futuro” e vuole che ne legga un pezzo. Facciamo fatica a trovare una pagina che non sia di guerra. La troviamo: “Natale: un bue e un vestito nuovo”. Leggo in italiano ed è tradotto in spagnolo dal… colpevole. L’ambiente si riscalda. Dalle domande ci accorgiamo che davvero l’Africa è lontana dal Perù. Il don promette di tornare a parlare delle missioni. Chiudiamo l’incontro recitando il Padre nostro in quattro lingue: africano, inglese, portoghese, spagnolo e con la benedizione del Signore sui seminaristi e sui superiori: un giovane sacerdote e tre ancor più giovani diaconi.

E’ ormai scuro, ma la giornata non è finita. Huarua è una cittadina storica dove il “libertador”, generale Josè de San Martin, ha lanciato il suo primo grido di Indipendenza nel 1820, da un balcone della piazza ancora esistente. Non possiamo tornare a Huacho senza vedere questo “cuore” storico, non solo per il Perù, ma per tutta l’America Latina.

A Huarua c’è anche un santuario della Madonna del Carmine, modesto, in relazione ad altri santuari, ma tanto caro a tutta la diocesi. Secondo quanto ci raccontò la signora Carmen, fu edificato per della Madonna stessa che per alcuni giorni appariva sotto vesti di una donna peruviana, india, seduta sul ciglio della strada. I contadini la vedevano al mattino quando andavano nei campi e la ritrovano alla sera, sempre lì seduta, senza dire una parola. Alcune famiglie cominciarono ad invitarla a passare la notte con loro. Ma al mattino, era sempre là, finché un giorno si rivelò dicendo che… desiderava una cappella, proprio lì dove stava seduta: era la Madonna del Carmine.

Arriviamo in cattedrale che la Messa è già iniziata. Don Antonio si ferma accanto al suo confessionale e subito qualcuno si avvicina e chiede di essere ascoltato, poi un altro e un altro ancora.

In fondo alla chiesa stanno adornando la portantina di Santa Rosa. Nella cappella del Santissimo si sta ancora pregando. La chiesa è strapiena. I fedeli sono parenti o amici del defunto per il quale si offre la Messa di suffragio. Quando tutto sembra finito, anche di confessare, di vedere se i lavoratori hanno “indorato” l’altare, di salutare in sacrestia, riceviamo l’ordine di restare ancora. Vediamo così i fedeli, terminata la celebrazione, sfilare uno ad uno a salutare e abbracciare  i parenti prossimi delle persone colpite dal lutto.

Lui, il Don, dice che vuole andare dal tipografo per assicurarsi che  la stampa del mio libro“Economia Domestica” sia pronta nella versione spagnola. Torna poco dopo felice: tutto a posto, possiamo andare a casa.

Domani, festa di Santa Rosa, potremo dormire fino alle  8,30 perché assisteremo alle  Messe che celebrerà nei due ospedali: alle 9 e alle 11

 

 

Ho visto il don …

Sabato 30 agosto 2008, il giorno di Santa Rosa

 

La giornata di oggi, è stata davvero una giornata campale, piena di eventi e di emozioni perché in Perù è realmente la festa del cuore, che fa memoria della "Sua Santa" santa Rosa da Lima, la prima santa del Continente americano, 1586-1617.

Da qualche giorno non si sentiva che parlare di lei: dai sacerdoti della cattedrale, preoccupati per come "arrivare a tutti", ovvero a tutte le richieste di celebrazione della Messa, nelle varie parrocchie, alle associazioni o corporazioni che l'hanno per patrona, comprese le Forze Armate.

Anche la nostra giornata è stata intensa. Per don Antonio è iniziata mezz'ora prima del solito, perché la Messa festiva ( e oggi è festa in Perù), è alle 7. Suor Maria Luisa ed io abbiamo festeggiato dormendo fino alle 8 per essere pronte alle 8,30 quando il Don sarebbe venuto a prendermi per celebrare Santa Rosa in due ospedali perché patrona delle infermiere.

Ci facciamo trovare pronte. Il Don entra in casa - un po' in ritardo- prende in fretta la valigetta che contiene il necessario per la Santa Messa , e ci consegna un pacco di giornali. Uscito, prima di cercare il taxi, compra altri quotidiani e finalmente si parte.

L'ospedale, realmente un po' vecchio, è grande, fatto di padiglioni e padiglioni: roba da perdersi, ma don Antonio lo conosce bene.Dentro e fuori da un reparto e all'altro, da un cortile e all'altro raggiungiamo lo spiazzo dove le infermiere stanno ancora preparando per la celebrazione, anche se è passata l'ora.

Don Antonio ne approfitta per fare una visita straordinaria a un malato. Lascia la valigetta, prende i giornali e andiamo. Chiedo qualche informazione sull'ospedale e scopro in poche parole che in quell'ospedale (che per fortuna sarà trasferito altrove, in costruzioni nuove), ci sono tutti i tipi di specialità: dalla maternità al reparto lungodegenti, una lungodegenza che può durare anni, dieci come  quella dell'anziano signore che incontriamo nella camera dove il Don ci ha condotte.

Mi sembra si chiami Roberto. Appena vede don Antonio si solleva e sorride felice. Il don si scusa che, per colpa nostra, non è venuto questa settimana e mentre dice questo gli consegna tutti i giornali "così avrà da leggere". Noto che l'uomo, fin dal primo momento stringe in mano un minitransistor. Dopo qualche parola su Santa Rosa, l'invito a dire un'Ave Maria, dalla tasca del Don escono quattro piccole pile che consegna all'uomo che, trasognato, le prende, le bacia e dice: "Un regalo più grande non mi poteva fare, potrò ascoltare la radio!” Mentre ci allontaniamo il malato mi fa un cenno e mi dice: "Questo padrecito ha il dono di portare le persone alla fede: sia benedetto".

Quando arriviamo, di corsa, alla piazzola trasformata in cappella, è quasi tutto pronto e alla spicciolata arrivano le infermiere. Inizia la Santa Messa. Alla predica siamo presentate, di me sottolinea che sono collega- infermiera con l’esperienza della savana africana. Poi parla di Santa Rosa, di come lui e tutta la nostra famiglia sono sempre stati devoti di questa santa peruviana perché la nonna si chiamava Rosa, ma specialmente si festeggiava per "mi hermana Rosy". Ho un momento di sconcerto. Cosa dice? Cosa c'entra Ermanna, l’altra sorella? Ma è solo un attimo perché: ha detto mia “sorella” Rosy, però che bello sentirci unite grazie alla lingua e ai suoi equivoci!

 

Dopo la messa, e naturalmente la mia "predichetta", v'è la benedizione dei presenti. Benedizione abbondante con una rosa rossa, passando in mezzo a tutti. Alla cerimonia sono presenti varie autorità e ognuna dovrà fare gli auguri alle festeggiate, le infermiere. Noi ascoltiamo solo quelle a nome del rettore dell'università di Huacho (14.000 mila studenti), salutiamo in fretta anche i due cantanti che hanno vivacizzato la celebrazione e via.

Lasciamo l’ospedale vecchio e “voliamo”, fermando il primo taxi che ci passa sotto gli occhi, all’Ospedale Regionale, molto più moderno dove, accanto all’ascensore, c’è l’avviso: “NON UTILIZZARE IN CASO DI TERREMOTO”. Qui i terremoti ci sono davvero!

Troviamo tutto pronto. C’è anche un coro in divisa per i canti. Santa Rosa troneggia in un mare di fiori e di luci. La Messa è solenne. Ci sono anche i medici. Alla processione dell’offertorio, sono offerti i simboli del servizio sanitario: stetoscopio, guanti, fleboclisi. Niente di superstraordinario, se non fosse che le infermiere come segno visibile del loro servizio presentano all’altare se stesse, rappresentate da tre colleghe di tre reparti diversi, che avanzano e tornano ai loro posti stringendosi le mani, con le braccia alzate per indicare tutta la loro solidarietà e amore reciproco, orientato poi verso i malati.

Prima di congedarsi dall'assemblea, dopo aver asperso con l'acqua benedetta i presenti e avermi fatto "parlare", il don mostra alle persone una piccola croce  di legno, dono ed opera  del compagno di camera nel reparto di ortopedia di Giussano dove era stato ricoverato nel 2007 per la rottura del femore ( sempre per l’amore al calcio) e spiega come anche in un ospedale possono nascere legami di amicizia che durano per sempre trasformando un ricordo amaro in gioia interiore.

Appena finisce  la Messa , scoppiano i mortaretti… è festa.

All'uscita dall'ospedale, don Antonio ci consegna i paramenti: lui deve correre dal tipografo a prendere il libro diEconomia Domestica. Mentre noi ci avviamo verso casa, che si raggiunge a piedi, con l' "ordine" di fermarsi a far la spesa. Disobbediamo e andiamo prima a depositare la valigetta. Quando stiamo per farlo ecco che don Antonio arriva felice con le 300 copie portate con lui da una simpatica mototaxi! Scarica tutto velocemente e ci accompagna a far la spesa. Oltre al latte, al formaggio e a non so che cosa (io avevo voglia di cioccolato, ma non ce n'era) comperiamo i pasticcini in onore di Ermanna-Rosy e ci fermiamo al tavolino - era una specie di bar - a mangiare, sempre in onore di santa Rosa, una coppa di gelatina… rosa!

Prima di pranzo c'è stato ancora il tempo di aprire il pacco di libri, sfogliare qualche copia (non da me, ma dal Don e suor Maria Luisa) per trovare il "pelo nell'uovo" dal punto di vista grafico: sì perché si tratta ancora di un'anteprima, un formato A4, bellissima la copertina: mi sembra di sognare: è la copia 170.300 a partire da un ciclostilato in portoghese del 1971.  Mentre i due guardano e discutono, mi allontano emozionata. Torno e trovo che la direttrice di "Andare alle genti", suor Maria Luisa ha già in mano una matita per iniziare il lavoro di correttrice di bozze. Incredibile ma ce la farà, sfruttando tutti i ritagli di tempo, riuscendo persino a fare le correzioni in computer, prima di lasciare il Perù!

Oggi la siesta è stata cancellata con la bella notizia che andiamo a fare le spese alla Tejesol, per comprare i souvenir dal gruppo donne che lavorano il giunco. Passiamo  un'oretta in negozio a scegliere cestini, collane, presepi, braccialetti… tutti manufatti bellissimi, tessuti con arte, esportati anche come equo mercato.  Come vorremmo poter trovare mille e mille clienti per dar lavoro a queste donne dalle mani d'oro che sognano di poter migliorare la loro condizione di vita. Hanno anche un e-mail e un sito: tejesol@Gmail.com  e www.huacho.info/tejesol.

Torniamo a casa felici per deporre il bottino e ripartire, verso non sappiamo dove.

Il Don ci precede, esce di casa, ma torna subito sui suoi passi per prendere il libro liturgico per benedire una Mototaxi.  Uscite, non vediamo nessuna moto-taxi, ma un auto-taxi pronta che ci fa salire e parte seguendo una signora che corre davanti a noi. Dopo qualche isolato ci troviamo una "Ape" nuova fiammante, circondata da un gruppo familiare (nonni, genitori, zii, giovani, bambini) orgogliosi di consegnarla  - regalo di santa Rosa -  al "ragazzo" (figlio e nipote) perché possa guadagnarsi da vivere!

Una benedizione in piena regola, con  i padrini, la preghiera liturgica tanto bella, il taglio del nastro, un brindisi con Coca Cola, perché il Signore protegga l'autista e quanti saranno condotti da  lui. E i primi benedetti siamo noi tre a cui fu offerto il passaggio per essere condotti a destinazione - con orgoglio ed emozione - dal giovane autista che ci assicura che ha la patente, ha già guidato, ed è felice.

Fu un bel viaggetto, perché andammo verso la periferia. Chiudiamo la giornata con la visita a tre comunità di suore: una che fa pastorale giovanile e nelle scuole, andando anche ai 5.000 metri; una che ha il carisma di assistenza a bambini handicappati, ed una pastorale parrocchiale tra le casette di giunco; tre piccole comunità di quattro suore ciascuna, congregazioni di origine italiana, ma tutte internazionali e con due o tre giovani peruviane che desiderano diventare religiose. A tutte abbiamo consegnato Economia Domestica, che conoscevano perché avevano collaborato nell'adattare i testi alla realtà latino americana. Ho messo la dedica in ogni copia, scrivendo in tre lingue: portoghese, italiano e spagnolo: ormai non ne parlo nessuna correttamente!

Poi su due "Api" raggiungemmo la cattedrale. Il don non celebrò ma era atteso per le confessioni. Durante la giornata gli autisti dovettero più volte deviare, per evitare il corteo di Santa Rosa che accompagnato dalle varie corporazioni passava nelle vie della città.

 

Ho visto il don…

Domenica 31 agosto 2008, Messa e archeologia

 

Oggi è domenica. Don Antonio è andato in cattedrale per celebrare la santa Messa delle 7,00. Noi siamo andate in parrocchia del Divin Maestro, dove, alle 9,00 ha celebrato Don Orazio che andrà poi a celebrare anche in altre comunità cristiane. L'assemblea era formata soprattutto di bambini e giovani e fu annunciato che di seguito ci sarebbe stato il catechismo per i ragazzi e le ragazze che si preparano al Battesimo.

All'uscita della chiesa ci fermiamo a guardare la bella piazza con una grande statua di Gesù Maestro.

Rientrate, prepariamo il necessario per il pranzo: oggi siamo noi le cuoche!  Menù: risotto alla milanese e bistecche di pollo. Vogliamo fare bella figura, soprattutto con il risotto che deve essere assolutamente in grado di competere con quello che facevano e fanno le nostre mamme.A tavola saremo sei milanesi! L'appuntamento è per l'una e mezza. Noi siamo puntuali e prepariamo la tavola in veranda perché è una giornata di sole.

Don Orazio e i due giovani volontari arrivano in orario, ma di don Antonio neanche l'ombra di un' "Ape". Aspettiamo un po' poi serviamo per timore che il riso scuocia.  Arriva anche don Antonio e si mette a tavola dicendoci che, pur pensando al risotto - in confessionale - non è riuscito a venir via prima! Ci assicurano che era buono e non ne è avanzato neanche un cucchiaio.

Alle 15,00 siamo pronte per l'uscita pomeridiana. Questa volta con il fuoristrada della parrocchia per visitare la zona archeologica di Bandurria che si trova a una decina di chilometri da Huacho, tra la Transamericana e l'oceano, lungo la fascia desertica.

Un vistoso cartello segnala il punto in cui occorre lasciare l'asfalto. Lungo la pista altri cartelli indicano il cammino da percorrere fino a raggiungere un "gabbiotto" dove siamo accolti da due giovani, uno dei quali è lo studente universitario che ci farà da guida. A vista non si vede niente, solo le dune e la polvere del deserto.  Lasciamo la macchina e ci avviamo con la guida che cammin facendo ci spiega la storia.

Il sito è stato scoperto qualche anno fa, messo in luce da un’alluvione. Bandurria è  il nome di un uccello che decenni fa popolava la zona desertica e che è poi migrato in altri territori. Ma se questo era conosciuto a memoria d’uomo, nessuno fino al 1973 immaginava che quella zona è stata la culla della civilizzazione americana, pre Inca che risale a 3.500 anni avanti Cristo, da considerarsi tra le tre più antiche del mondo, insieme alla Mesopotamica e l’Egiziana.

Dai primi scavi erano emersi segnali di un insediamento umano dedito all’agricoltura e alla pesca. In seguito, e molto, molto recentemente, sono apparse opere monumentali composti da piramidi  alte qualche decina di metri che si pensava fossero collinette  e,  davanti ad una di queste, è stato trovato, qualche mese fa, quello che sembra una vasca rituale asciutta, perfettamente circolare, costruita, come la grande piramide (tempio?) con pietre lise, non intagliate, giustapposte, alla quale si accede  scendendo qualche gradino, e si esce dalla parte opposta ai piedi della piramide. Una sorta di battistero, un luogo di purificazione nel quale gli iniziati simbolicamente scendevano negli inferi, e risalivano per avviarsi al monte di Dio. Confesso che non riuscivamo a staccarci da quel complesso ed immaginare, come diceva la guida, una grande moltitudine di fedeli che nello spiazzo davanti al complesso cerimoniale assisteva, ascoltava, pregava.

Non so quante foto abbiamo fatto, senza riuscire a cogliere il tutto: forse ci voleva un fotografo di professione con macchine sofisticate, ma ciò che la digitale da turisti ha colto, aiuta ad averne un’idea.

 

Ma le sorprese non erano finite. A pochi metri da quella zona desertica dalla quale si vedeva l’oceano Pacifico, ci apparve improvvisamente la Laguna del Paradiso: un vero paradiso ecologico che fa parte del “corridorio biologico costiero” del Perù posto sulla rotta di numerosi uccelli migratori che si spostano dall’Alaska alla Terra del Fuoco, dicono le guide turistiche. Qui vivono più di un centinaio di specie che nidificano tra i banchi di  quel giunco che le donne  della cooperativa Tejesol utilizzano attraverso un processo di raccolta controllata e essiccazione che permette la tessitura artigianale che abbiamo ammirato nel negozio di Haucho!

A dire il vero ci sembra di sognare: come è possibile godersi a vista d’occhio in un’area tanto piccola, mondi tanto diversi: oceano, laguna, deserto, civiltà antichissime, uccelli variopinti, campi verdissimi di giunco,  asini e pecore che pascolano e… non è finita.

La guida dice che il percorso è terminato. Il don dà una buona mancia a lui e due altri giovani, si fa la foto di rito e si risale in macchina, ma non si va verso la Transamericana , ma giù, giù verso un villaggio che si intravede, fatto di casette che assomigliano a quelle degli Asientamenti periferici. Da lì scendiamo fin sul sentiero lungo la Laguna per sentire da vicino il canto degli uccelli e poi risalire ed andare nel villaggio passando per i campi di giunco, superare le spianate dove sta essiccando il giunco in lavorazione e raggiungere il luogo abitato. E qui il don è riconosciuto, accolto con gioia: la padrona di casa è Giuness la direttrice del Tejesol.

Ci sediamo in veranda. Due pali indicano che davanti a casa c’è una rete da pallavolo. Passano due ragazze: “Perché non giocano?”, le incita il Don. Detto fatto, la rete è tesa, la palla appare e cominciano a giocare: dopo qualche tempo i giocatori sono quattro: suor Maria Luisa, Don Antonio e le due studenti che, finita la partita, insieme alla direttrice di Tejesol sono ben felici di accettare il passaggio in macchina che il don offre, facendo risparmiare  loro una mezz’ora di cammino nel sentiero sabbioso fino alla strada principale dove aspettare il passaggio di un autobus che le porti a Huacho.

Quando arriviamo in città il sole sta per iniziare la discesa del tramonto nell’immensità dell’oceano. E verso il Pacifico ci dirigiamo. Si vede che è domenica. A noi sembra faccia freddo, ma c’è qualcuno che fa il bagno, c’è chi passeggia o gioca, mentre il sole cade.  Ma nulla di speciale. Raccogliamo qualche conchiglia, qualche sasso levigato, in attesa di vedere il cielo infuocarsi, ma neanche per sogno. Nonostante ciò scattiamo qualche foto e, miracolo: la macchina coglie luci da arcobaleno che non si vedono a occhio nudo. Un gioco di luci stupendo, incredibile. Grazie don Antonio anche per questo pomeriggio.

Sono quasi le 18, occorre andare a casa e per poi andare in cattedrale perché alle 18,30 ci sarà la concelebrazione presieduta dal Vescovo.

Arriviamo a casa, il tempo di mettere in garage la fuoristrada, lavarsi le mani, e uscire di nuovo, prendere un taxi. Non l’ho mai detto, ma il tragitto costa 2 Soles che corrispondono a 0,50 euro.

Giunte in chiesa, ci raccogliamo un momento nella cappella del santissimo, poi Don Antonio va in sacrestia e noi nel primo banco, anche perché vogliamo contemplare da vicino l’altare dorato che è tutto uno splendore.

Arrivano le 18,30, la chiesa si riempie, le candele sono accese, l’organo suona dolcemente, ma la campanella che annuncia l’entrata dei sacerdoti, rimane silenziosa. Passa cinque, dieci minuti, un quarto d’ora niente. Finalmente suona, ci alziamo, iniziano i canti, entrano i chierichetti, poi il celebrante, non “i celebranti”come preannunciati. Entra solo Don Antonio. E il Vescovo dov’é?

Inizia la Celebrazione , le letture e a metà lettura vediamo il Don che si alza, esce accompagnato da due chierichetti, per poi rientrare  solennemente davanti al Vescovo, in ritardo perché andato a celebrare chissà a che distanza.

Don Antonio legge il Vangelo e cede il posto a Monsignore per l’Omelia. E’ commovente sentire come il Vescovo parla ai fedeli superando i dieci minuti , forse la mezz’ora. Ad un certo punto sentiamo che parla di noi due, delle due ospiti e ci invita, una dopo l’altra a porci accanto a lui, a presentarci a parlare della missione, dell’Africa. Siamo emozionate e acclamate dall’assemblea che gremisce la chiesa.

 Una lunga piacevolissima domenica di missione. La cena stasera non è all’aperto. C’è troppa umidità nell’aria. Andiamo a dormire presto, perché domani, dopo Messa si parte e si va lontano, con il vescovo ed altri sacerdoti su per la cordigliera delle Ande, in missione!

 

 

Ho visto il don…

Lunedì 1 settembre  2008, chiese belle e abbandonate

 

Di buon mattino partiamo per Ambar con due fuoristrada. Noi siamo in quella del vescovo nella quale viaggia anche un giovane seminarista, nativo di Ambar, che dovrà indicarci il cammino; nell'altra hanno preso posto… tutti i sacerdoti della Curia di Huacho, compresi il Vicario episcopale; con Pablo l'autista siamo in undici!

Ambar  è un distretto di Huaura, con più di 3.000 abitanti, dei quali 2.000 residenti nella cittadina e gli altri dispersi in piccoli villaggi situati chi prima, perciò sotto i 1.800 metri di altitudine, altri oltre, molto oltre, adagiati sulle montagne andine.

Non descrivo il paesaggio, perché assomiglia a quello già descritto nel viaggio verso Lampian: un continuo andare e salire verso l'alto lungo valli intagliate fra massicci brulli, valli anch'esse aride, ma che improvvisamente appaiono coltivate perché irrigate da un benefico fiume, che ha dato vita a piccoli centri abitati. Ogni paesello ha la sua chiesa, e ad ogni chiesa ci siamo fermati. Ogni chiesa è un gioiello anche dal punto di vista artistico. In una abbiamo trovato una campana portata dalla Spagna che porta incisa la data  di nascita dell'anno 800 (IX secolo, non 1.800!), oltre a pareti affrescate, altari  e pulpiti indorati, statue di Cristo, della Madonna  rivestite di abiti preziosi e libri liturgici in latino di qualche secolo fa.  Ma in nessuna di queste parrocchie, c'è il sacerdote, quanta pena.

Arriviamo ad Ambar verso mezzogiorno e siamo accolti, se non sbaglio, dal suono delle campane. Ci aspettavano? Arrivano le autorità, poi qualche fedele, poi assistiamo al passaggio di  un centinaio e più di bambini che escono dalla scuola elementare, più tardi altre decine sono ragazzi delle medie e superiori.

Ambar sembra una cittadina Svizzera! Qui tutto è nuovo, o messo a nuovo. Anche la Chiesa dedicata alla Madonna Assunta è una meraviglia. Ci sorprende il pavimento che è di marmo lucido, moderno, tirato a piombo. Veniamo a sapere che è stato effettivamente restaurato di recente a spese di una cittadina emigrata in USA.

Mentre i sacerdoti con il Vescovo stanno facendo una “vera visita canonica”, suor Maria Luisa ed io usciamo e ci sediamo fuori della chiesa su una panchina costruita attorno ad un albero centenario.

Subito si avvicina a noi una signora anziana che dice di avere 90 anni, ed altre signore e ci raccontano…

Secondo la tradizione, quell’albero è stato piantato nel 1875 da un geografo italiano milanese Antonio Raimondi.

Gli italiani diedero  un grande impulso all’attività agricolo e commerciale della zona, alcune famiglie sono ancora proprietarie  di case e terreni anche se non vivono qui, ma tornano ogni anno a ferragosto all’Assunta: quest’anno erano in 15 per  la solenne festa patronale.

Chiediamo: “Da quanto tempo manca il sacerdote residente?” Una signora risponde: avevo sei anni e fui tra le ultime a ricevere da lui i Sacramenti. E l’anziana aggiunge: sono 40 anni che siamo senza sacerdote!

Una volta o due all’anno viene qualche sacerdote da Huarua, ma si ferma sempre poco. Quest’anno è venuto, per l’Assunta un diacono e così non abbiamo neanche potuto confessarci…”

Ma, visitando la Chiesa , non si aveva l’impressione di abbandono. Anzi, siamo anche entrate in locali annessi ed abbiamo visto che la sala del catechismo era piena di cartelloni. Sì, ci dicono, abbiamo dei buoni maestri di scuola che si occupano della formazione religiosa, ma “ Perché non rimanete? Noi vi aiuteremmo nelle spese. Siamo agricoltori, pastori e possiamo, come abbiamo sempre fatto, offrirvi i prodotti del nostro lavoro”.

E la anziana signora continua: la chiesa è stata costruita su fondamenta forti, ed ha resistito ai terremoti del 1940 e del 1970, anche se ha avuto delle crepe, ora restaurate. La canonica che era a due piani, invece, come tutte le altre case sono crollate.  Ma ora la cittadina è rinata.  Ogni giorno arrivano da Lima due e anche più pullman di linea. E i camion dei commercianti arrivano puntuali per raccogliere i prodotti che noi prepariamo nelle cassette (pesche, mele, pomodori).

Nella piazza antistante siamo avvicinate da un signore anziano che dice di avere i figli emigrati anche in Italia. Ci spiega che c’è poca gente in giro perché sono nei campi o nei pascoli.  Nel pomeriggio ci renderemo conto che l’ “Adulto Maggiore”, come sono chiamati gli anziani in Perù, aveva detto il vero. Infatti, a quell’ora dalle strade che portano oltre Ambar, si vedono scendere i contadini accompagnati da asini, cavalli e lungo la strada, vediamo le cassette di frutta pronte in attesa del camion.Incredibilmente (per noi) ecco arrivare un grande  autobus, si ferma  un momento e poi continua il suo cammino verso l’alto … Ci dicono a un’ora e mezzo di cammino dove c’è un'altra cittadina! Veniamo a conoscenza  anche di una notizia incredibile: su queste valli “Sendero Luminoso”, di triste memoria, aveva le sue basi. Ad Ambar sono state 25 le sue vittime. Perché? Misteri della storia!

Quando arriviamo in casa del seminarista troviamo il Vescovo che sta cucinando gli spaghetti – con aglio e peperoncino - la sua specialità! Ma sulla tavola appare anche riso e verdure e carne portata dalla gente. E qui torna la richiesta a noi di rimanere…

 

In casa c’è solo la mamma del seminarista. Il papà è in montagna nel campo.  Qualcuno deve averlo avvisato che a casa sua erano arrivati ospiti, tanti ospiti, anche il Vescovo e sacerdoti e suore e  suo figlio.  Ad un certo punto lo vediamo arrivare, sta per entrare in casa, ma forse teme qualche brutta notizia? Sta di fatto che non entra, gira attorno alla casa, passa in cucina.  Poi sorridente ed emozionato entra: si vede che aveva temuto cattive notizie, e trova che tutte sono belle. La coppia ha tre figli: una figlia sposata e due seminaristi, il giovane liceale che ci accompagnato e uno già in teologia. Erano andati a Huacho a studiare e là hanno scoperto – dice la mamma – di avere un carisma diverso!

Durante il viaggio Mons. Antonio aveva chiesto al ragazzo cosa gli mancava di più vivendo in città. Aveva risposto: “Cavalcare il mio asino e correre nella selva!”. Lo credo bene che deve essere duro, per chi è nato fra questi monti, sotto un cielo azzurro, con abbondanza di acqua, di verde, di frutti, di sole, vivere a Huacho, la città convulsa posta nel deserto.  Ma il Signore quando chiama rende luminosi, come sono luminosi gli occhi di questo ragazzo che, felice risale sul fuori strada e torna in Seminario.

Torniamo carichi di frutta per il seminario e per la diocesi, per i poveri.

Per strada il vescovo progetta su come assistere pastoralmente le popolazioni di Ambar. Qualche soluzione provvisoria  è possibile, ma solo se ci saranno più sacerdoti. Sogna di avere il seminario maggiore a Huacho, e non dipendere da Lima. Sarebbe disposto Don Antonio ad insegnare latino? “Preferirei inglese, risponde, ma - indicando noi – qui ci sono due professoresse di seminario in Etiopia e Mozambico”. E sì, noi verremmo anche subito per stare a Ambar, ed insegnare a Huacho al futuro seminario…

Ma la realtà è che domani, partiremo per l’Italia. Ritorneremo? Lo voglia il Cielo.

All’entrata di Huacho siamo fermati dalla polizia stradale. Documenti? Ma subito un poliziotto riconosce il don… ed è via libera.

Grazie Signore di questa splendida giornata: Grazie a Monsignore, ai Sacerdoti che sono venuti con noi e  di chi ci ha ospitato tanto cordialmente.

 

Ho visto il don…

Martedì 2 settembre 2008, Lima, capitale immensa

 

Oggi è il giorno del ritorno in Italia. Partiamo di buon mattino per Lima anche se il volo è alle 18 di stasera e ci si deve trovare in aeroporto alle 15.

Don Antonio vuole farci visitare anche Lima, questa capitale di 14 milioni di abitanti

Le mete consigliate da tutti sono: visitare il centro e sostare a san Francesco, la cattedrale, santa Rosa e dal Signore dei Miracoli.

Ma don Antonio, arrivati in città dice a Pablo di portarci fino all’Oceano, alla punta estrema della città.

Immaginano Lima, come Genova, periferia, città, porto, tutto in dieci minuti di strada.  Invece credo che per raggiungere questa estremità ci sarà voluto quasi un’ora. Ma valeva la pena perché abbiamo potuto renderci conto della grandezza della città, dell’immensità di questo porto, di tante strutture metropolitane(università, scuole, palazzi, ospedali, fabbriche, depositi infiniti di container..) e capire come e dove  la gente vive, lavora, studia.

Ecco cosa dice l’Internet di Lima e il suo Porto:

“Lima Capitale del Perù, capoluogo del dipartimento omonimo, sul fiume Rímac, situata nella sezione centroccidentale del paese, in un'arida regione costiera stretta fra l'oceano Pacifico e la catena delle Ande. L’area metropolitana si estende fino al mare, con i quartieri residenziali di San Isidro, Monterrico, Jesús María, Surquillo e i sobborghi turistici di Miraflores e Barranco. Callao, porto marittimo di Lima, si trova a circa tredici chilometri dal centro cittadino. Lima è la maggiore metropoli del paese, centro amministrativo, commerciale e manifatturiero di primaria importanza. La quasi totalità della produzione tessile industriale del Perù è concentrata nella capitale, che è sede di industrie chimiche, petrolchimiche, meccaniche, siderurgiche, automobilistiche, alimentari”.

Arrivati al Porto, ci fermiamo in un’area storica dove ci sono i cimeli della guerra, di non so quale secolo: un immenso cannone, un sottomarino, un fortino.

Lasciato il porto “para otra via” raggiungiamo il centro. Se non ci fosse stato Pablo al volante che conosce Lima come  le sue tasche, avremmo perduto l’aereo. Invece verse le 11 siamo nel “mini-seminario” della diocesi di Lima, dove tre o quattro chierici studiano nell’Università teologica. Ci accolgono con tanto calore e ci offrono un buon caffè e un dolce di mele.

Non ci attardiamo perchè ci sono tante cose da vedere prima di partire.

La prima sosta è alla Plaza  de Armas, dove si trovano la Cattedrale – che abbiamo visto solo all’esterno – il palazzo del Governo ed altri palazzi.

C’è movimento in piazza: forse attendono di assistere al cambio delle Guardie d’Onore. Ci colpisce la presenza di tante scolaresche, tutte in divisa, tutte accompagnate da gentili maestre e maestri che invitano gli alunni a salutarci come “Padrecito e hermanitas”.

Per permetterci di sostare un po’ Pablo gira e rigira, intorno alla piazza, poi, ci riprende a bordo.

La prima sosta è al Santuario e Casa di Santa Rosa da Lima, la prima santa canonizzata dell’America, contemporanea di San Martino de Porres, anch’esso di Lima.

Anche qui troviamo tante scolaresche: dall’asilo alle superiori.  Al santuario il punto più “gettonato” è il pozzo dove Santa Rosa attingeva l'acqua. Ora è asciutto ed  i devoti lanciano dentro le loro richieste di grazia, scritte su biglietti. Anche noi vogliamo lanciare nel pozzo la nostra preghiera, ma non abbiamo neanche un pezzo di carta… Una signora si accorge del disagio  e  strappa dalla sua agenda tre fogli. Ognuno di noi scrive in segreto e lancia il foglietto che cade giù a picco senza fermarsi sulle grate. Se mi ascoltasse santa Rosa… fra poco tornerei in missione.

La visita durò poco, 15 minuti non di più. Poi via, al Santuario  dove c'è il murale autentico del Signore dei Miracoli(in lingua spagnola: Señor de los Milagros de Nazarenas)  la cui festa si è diffusa in tutto il mondo, grazie ai peruviani e della quale don Antonio ha già parlato, avendo partecipato alla processione fatta a Milano nell’ottobre 2007.

Fu un'emozione grande contemplare la parete dove tutt'ora  si trova il dipinto, opera di un africano dell'Angola deportato in Perù come schiavo. Un dipinto tracciato su una capanna di poveri che sopravvisse a tante peripizie, compresi il terremoto del 1655 un terremoto che devastò la città di Lima riducendo in macerie la maggior parte degli edifici e ad altri sismi. I cittadini iniziarono a pregare con devozione l’immagine e a ottenere da essa guarigioni e grazie: questo fece sì che il dipinto fosse considerato miracoloso e chiamato, appunto, “Signore dei Miracoli”.

 

Il 14 settembre 1671, davanti alla raffigurazione del Cristo crocifisso, si svolse la prima Messa; nel 20 ottobre del 1687 dopo l’ennesimo terremoto che risparmiò il dipinto, i fedeli fecero una copia in tela del murale e iniziarono a portarla in processione per le strade del quartiere di Pachacamilla. Dal 1747 viene portata in corteo anche la tela della “Madonna della Nube”, che sembra sia apparsa a Quito in Equador nel 1696. Nel 1715 l’autorità della capitale peruviana dichiarò il “Signore dei Miracoli” patrono e custode della città di Lima.

 

Ci fermiamo a comperare qualche ricordo, poi bisogna correre verso  "San Francisco", prima che lo chiudano.

Veramente non capivo perché tanta premura per vedere una chiesa dedicata a San Francesco di Assisi, a noi non restava che seguire il don, salire sulla macchina di Pablo …

Arriviamo a San Francesco: la chiesa è chiusa. Una chiesa che non presenta nulla di straordinario all'esterno, e, penso, non supererà all'interno, quelle che abbiamo già visto in Ecuador e in Perù.

Ma chi conosce il Don sa che le sorprese non finiscono mai e che se corre, ha una meta. E la meta era: "Visitare il Convento e le catacombe di san Francesco".

Per questo ci fa entrare in un atrio, compera i biglietti e aspettiamo più di un quarto d'ora il turno per la visita guidata. Poi esce un gruppo di lingua inglese ed entriamo noi: una trentina di persone con guida in spagnolo.

Ora capisco il perché fu necessario correre per arrivare a vedere cose questo favoloso convento Francescano dagli interni mozzafiato: porticato piatrellato, sacrestia, coro, refettorio pieni di opere d'arte, soffitti da favola, scalinate. E’ un trionfo di oro, arte e fede, seminata nei secoli. Ma, mi dicevo, cosa centra questo con le "Catacombe?"

Qui, pensavo, non sanno cosa significa la parola… Invece, la guida ci ferma, ci comunica che il percorso diverrà accidentato e si comincia a scendere. Si ammirano prima le fondamenta "stramassicce" a prova di terremoto (in Perù il terremoto deve essere proprio di casa) da cinquecento anni. Poi si passa per cubicoli e sembra di essere davvero alle Catacombe di Roma. La guida spiega che per secoli, diversi piani sotto la chiesa erano serviti da cimitero. Prima i frati, poi persone facoltose che aiutarono nella costruzione e poi il popolo tutto… e tra un corridoio e l'altro si arriva ad immense vasche, pozzi profondi, pieni di teschi e di ossa lunghe degli arti, ben divisi. Si pensa che vi siano i resti morali di 70 /80 mila persone. E non tutto il cimitero è venuto alla luce. "Perché?"  chiede un signore che faceva parte di un gruppetto di una decina di uomini. "Perché gli scavi sono pericolosi", risponde la guida. E l'altro: "Date a noi questo compito: siamo minatori, non è niente scavare qui".

Noi non vedevamo l'ora di uscire. Anche don Antonio era del parere, c’erano troppe ossa. Finalmente la guida comincia a risalire e ci troviamo presto in piazza che mi è sembrata splendida! Pablo ci aspettava, ma riceve l'ordine di stazionare vicino a un ristorante nel quale troviamo posto e ordiniamo pollo arrosto e patatine fritte: il tutto veramente buono e abbondante. Poi via verso l'aeroporto dove si doveva arrivare per le 15, tre ore prima della partenza.

Arriviamo puntuali. C'era già la coda, ma l'addetto alla vigilanza non solo lascia entrare il Don in un'area "proibita " ai non passeggeri, ma ci mette  in testa alla linea preferenziale dei vip. Potere ecclesiastico.

Nessun problema per le valige, spedite fino a Torino. Ancora un salto per qualche ricordo peruviano e disperata e vana  ricerca di un quotidiano da inviare a Peppino appassionato di giornali: tutte le copie erano già state vendute, non ne trova neppure Pablo inviato a fare un giro nei pressi dell'aeroporto.

Per consolarci una visita al bar per un caffè "italiano". No, c'è solo quello "americano" che non riusciamo a bere.

Poi l'abbraccio commosso: "Ciao Don…ciao Pablo…Ciao Hermanas…, Grazie, grazie di tutto". E via oltre la linea dei controlli doganali.

 

Puntualissimo, l'aereo parte, al completo ed arriva puntuale ad Amsterdam; Puntuale parte quello che ci porta fino a Roma, ma da Roma a Torino c’è ritardo di un'ora e mezza. Questo ha fatto si che, partite martedì 2 settembre da Hacho, alle 7 del mattino, arrivassimo, bagagli compresi e non è poco - per il gioco delle 7 ore del fuso orario - giovedì 4 settembre alle 2 di notte a Grugliasco…

 

Ho visto il Don, non è stato un sogno. L'ho visto felice e, come sempre pienamente sacerdote della sua gente, come a Cerro Maggiore, nei suoi anni giovanili, a Kafue in Zambia e poi a Cologno Monzese, a Milano Greco, a Seveso Altopiano e a… Casatenovo.  E da don Antonio ho ricevuto per tutti - e a lui non scappa un nome e un volto - i suoi saluti e il suo grazie ai quali mi unisco.

  Suor Dalmazia Colombo

Profilo di  suor DALMAZIA COLOMBO

50 anni di professione religiosa     

1958 - 2008 

Suor Dalmazia Colombo nasce il 22 dicembre 1935 a Dolzago, in Brianza. A 19 anni entra nell’ordine delle Suore Missionarie della Consolata di Grugliasco (To). Ha lavorato 36 anni in Mozambico (dal 1964 al 2000): prima a Mitucue, poi a Lichinga, a Mecanhelas, a Maputo, a Nampula, esercitando la professione di infermiera, ostetrica, insegnante, catechista...

 Ha seguito la mediazione coordinata dalla Comunità di S. Egidio di Roma, che ha portato nel 1996 alla fine della guerra civile fra i due partiti “Frelimo” e “Renamo”, che durava dal 1975.

Nel 1971 ha pubblicato “Economia domestica”, un libro/manuale in portoghese per la promozione della donna e la conduzione della casa. Il libro ha avuto nove ristampe ( 10.000 copie ognuna) di cui una in inglese ed é attualmente usato anche in altri stati africani. In seguito ha pubblicato “I valori religiosi del popolo Makua” (EMI 1988) con la sorella, Rosy Colombo, “Vibrare insieme. Mozambico 1964-1990” (EMI 1990) e “Mozambico Insieme verso il futuro” (EMI 1999).

Nel 1993, su suggerimento di una famiglia di Cologno Monzese, Suor Dalmazia ha avviato un progetto di adozioni a distanza gestite direttamente da lei e dalle sue consorelle.

Nel 1996, grazie ad un finanziamento  della CEI,  della Diocesi di Milano, dell’otto per mille e di altre istituzioni, ha fondato insieme ad altri missionari l’Università Cattolica del Mozambico, la seconda università del paese, dando vita alle facoltà di Economia e commercio (nella sede di Beira) e di Giurisprudenza (a Nampula). In quest’ultima facoltà ha lavorato come professore di Etica Sociale (Suor Dalmazia si è laureata in Missiologia nel 1986 a 51 anni all’Università Gregoriana di Roma). A 6 anni di distanza dalla fondazione, sono state inaugurate anche Scienze della Formazione,
Agraria e Medicina e i debiti sottoscritti con le banche per l’avvio dell’università sono stati in buona parte ripagati, tanto che un ateneo olandese ed uno americano hanno chiesto di avviare un programma di collaborazione e di stage in Africa per i loro studenti.

Dal 2000 Suor Dalmazia é rientrata in Italia per un periodo di collaborazione giornalistica con la rivista “Andare alle Genti”, edita dal suo Istituto religioso,  e risiede presso la Casa Regionale delle Suore Missionarie della Consolata a Grugliasco.

scritto da Giovanna Maria Fagnani

 

Quando, il 22 maggio 1958 feci la prima professione religiosa fra le Suore Missionarie della Consolata, mi trovavo a Sanfrè in provincia di Cuneo - Italia, avevo 22 anni, sognavo di diventare infermiera e di andare in missione.

Il primo sogno cominciò a divenire realtà il 15 settembre dello stesso anno all'entrare nel Convitto della Scuola per infermiere professionali, dell'Ospedale Santo Spirito di Roma.

Il secondo sogno non tardò a diventare realtà perché, il 29 novembre 1963, partivo da Genova per il Mozambico, dove sarei rimasta per 37anni, fino al 2000, anno in cui fui chiamata a vivere la missione in Italia come redattrice della rivista missionaria dell'Istituto "Andare alle genti".

Celebrai in Mozambico, il 25° di Professione, in forma solenne, a Maputo, capitale del Mozambico e in tono "minore" in varie comunità. Ricordo che nel bel mezzo della celebrazione nella comunità di Lichinga, mi si affacciarono alla mente alcuni numeri:

Prima professione, 22 anni. Venticinquesimo 57 anni. Cinquantesimo 72 anni e mi parve che avrei dovuto smettere di sognare. Ma appena manifestai la "matematica" dei miei anniversari, fui "aggredita" dal celebrante, padre Barros che mi disse: "Se pensi di appendere la missione al chiodo, puoi scordartelo!". E lo scordai, per questo, forse, arrivai al 50° sognando di riprendere la via del "ritorno" in Mozambico, prima di compiere i …100 anni e 78 di Professione!

 

Per noi Missionarie della Consolata, gli anni contano dal giorno della Prima Professione. Per cui, affacciandosi il 2008, entrai nell'anno delle "Cinquantenni del maggio 2008!.

L'annuncio dell'evento è dato nei diversi bollettini e riviste dell'Istituto, così che tutte noi sappiamo chi, nell'anno festeggerà i 25, 50, 60, 65, 70 e 75 anni di Professione e quest’anno, fu annunciato anche l'80° di Professione di suor Antonietta che ha ben 106 anni!

La particolarità è che nessuna celebra una sola Festa di Anniversario. Sono sempre almeno tre: una nella comunità dove vive la suora, una al Centro dell’Istituto e una nella Diocesi o Parrocchia di origine e chi è in missione fa sempre dei calcoli per trovarsi al suo Paese per l'occasione.

Un'attenzione speciale è data alla Cinquantenni. Per esse si organizza un mesetto "sabbatico" con Esercizi Spirituali, incontri fra noi sorelle, visita ai luoghi sacri della Fondazione dell'Istituto: il Santuario della Consolata e la Casa Madre di Torino, dove il Fondatore, il beato Giuseppe Allamano, "generò" l'Istituto e dove si formarono le Prime Missionarie della Consolata e a Castelnuovo Don Bosco, dove nacquero l'Allamano, suo zio san Giuseppe Cafasso e don Giovanni Bosco che aggiunse il suo nome al borgo.

A noi si erano associate quattro sorelle "Sessantenni" e alcune missionarie in vacanza dalle Missioni dell'America Latina e dell'Africa per cui eravamo una trentina ad aver  la gioia di partire, il 20 maggio, alla volta della Casa Generalizia, che si trova a Nepi in provincia di Viterbo. Un viaggio sereno, trascorso fra preghiere, canti "nostalgici", belle chiacchierate, qualche pisolino, un bel film e le soste di rito all'autogrill. Partite verso le 6 del mattino, alle 16 eravamo già a Nepi, ricevute come principesse dalla Madre generale, le consigliere, le sorelle tutte che facevano a ruba per prenderci i bagagli ed accompagnarci nelle nostre camere, dopo un salutino alla spicciolata a Gesù nella cappella e una visitina al "servizio bar" nel quale non manca mai l'acqua fresca di Nepi, dato che la nostra casa si trova nella zona Settevene ed ha come vicini di casa lo stabilimento dell'Acqua di Nepi.

Dal 21 maggio al 26 abbiamo trascorso una settimana splendida fra incontri ben guidati e variati. Interessante la panoramica della nostra presenza nei quattro continenti, Africa, America, Europa e Asia, con l'aiuto di documentari. Non sono mancati  esperti in problematiche moderne, comprese quello della Nostra Bella Terza o Quarta età, che deve mantenersi viva con interessi culturali, pastorali e spirituali, ma anche con la ginnastica studiata per noi!

Il 22 maggio, vera giornata dell'Anniversario, fu segnata dall'udienza dal Papa. Progettata in modo stupendo: primi posti in piazza san Pietro, pranzo nella Comunità di via Foscari… si è rivelata invece un disastro perché la pioggia battente ha sconvolto l'accoglienza dei pellegrini. Noi siamo finiti in san Pietro e come molte altre sorelle, abbiamo visto il Papa attraverso lo schermo delle piccole macchine fotografiche dei pellegrini… Quanto freddo, quant'acqua… Ma in via Foscari siamo arrivate e ancora una volta trattate da principesse dalle sorelle, con un pranzo da sposa (doveva essere solo una pizza e invece c'era anche pasta al forno alla romana… e un dono, uno stupendo e grande cero, corone per le missioni e biglietti augurali, confezionati con arte da suor Pier Laura ultra novantenne!

Il 24 maggio abbiamo avuto la seconda uscita, a San Pietro e a San Paolo fuori le mura. Questa volta la giornata era splendida. Alle 8 del mattino eravamo già nella basilica vaticana, che a quell'ora era visitabile sia in superficie sia alle grotte dove sono sepolti i Papi. Quando è terminata la Messa delle 9, a cui avevamo assistito nella cappella del Santissimo, i pellegrini e i turisti stavano entrando a frotte e si è fatta fatica ad uscire… Ma mentre essi invadevano i luoghi santi, noi abbiamo invaso i negozietti dei souvenir. Noi "europee" abbiamo scelto una medaglietta o altro oggettino artistico, le "africane” e le “americane" hanno sbancato lo scaffale con sacchetti di cento "Gesù Bambino", venduti per pochi euro, acquistati sognando presepini per le loro scolaresche e quello con sacchetti di cento rosari di plastica: queste sono le cose che fanno la differenza fra chi vive la Missione e chi vive nelle "Missioni".

Come descrivere la domenica 25 maggio, giornata solenne degli Anniversari di Professione? Il cielo è stato dalla nostra parte: splendido, pieno di sole. La celebrazione è iniziata alle 15,30.

Gli invitati hanno cominciato ad arrivare nel primo pomeriggio ed io ho avuto la gioia di vivere la giornata con accanto a me mia sorella Rosy e Vicente suo marito, poi nipoti e pronipoti, Gabriela e Livio con i  piccoli Samuele e Priscilla. Poi ancora, i padri Bernardo, Cancio e Cassiamo e le suore Lùcia e Celeste, tutti mozambicani che si trovano a Roma per studio o missione! Poi Maria Grazia, romana, la “mamma adottiva a distanza”, e Clementina, amica di vecchia data.

Confesso che ho provato tanta emozione (c’è da aggiungere che il Celebrante era il Superiore Generale dei Missionari della Consolata, padre Aquileo, che fu missionario in Mozambico): mi sono sentita tra la mia gente.

La bellezza della cerimonia si può seguirla nelle foto. Personalmente ho avuto la gioia di portare all’altare l’ANFORA, che simboleggiava le Nozze di Cana, con la presenza di Gesù, la Madonna, gli apostoli, i convitati felici per l’abbondanza del “Vino nuovo”, donato a noi con abbondanza alle festeggiate e a tutti i presenti!

Come non poteva mancare il rinfresco, accompagnato da canti, musiche di ogni continente. Le suore mozambicane hanno cinto me e altre sorelle provenienti dal Mozambico con la tradizionale “capulana”. Poi, nel silenzio più profondo, padre Cancio ha letto qualche pagina del diario di guerra del Mozambico, scritto dalle sorelle di Maua, negli anni Ottanta. Tra notizie da brivido con morti e feriti, le suore terminavano dicendo: “Noi però rimaniamo qui” e il padre ha aggiunto: “Quelle suore sono qui tra noi!”.

 

Il 27  maggio si è ripreso la via del ritorno, con sosta a Siena per immergerci nei luoghi che hanno visto crescere la santità di Santa Caterina da Siena e sognando di assomigliare un po’ a questa santa, mistica e missionaria, come ardentemente desideriamo esserlo anche noi, Missionarie della Consolata a cammino del Sessantesimo anniversario di Professione!

INVITO

Carissimi Parenti e Amici

 

Il 22 maggio 2008 le Suore Missionarie della Consolata 

suor Berardina Di Giacomantonio missionaria in Somalia
suor Dalmazia Colombo missionaria in Mozambico
suor Emma Piera Casali missionaria in Guinea Bissau
suor Giovanna Sandra Perani missionaria in Kenya
suor Giuditta Pia Ceriani missionaria in Amazzonia brasilana
suor Giulia Vincenza Saviane missionaria in Tanzania
suor Maurizia Messi missionaria in Colombia
suor Silveria Casiraghi missionaria in Mozambico

celebrano il 50° anniversario della loro Professione Religiosa.

Vi invitiamo ad unirsi a noi nella lode al Signore per il doppio dono della Consacrazione a Dio ed alla Missione.

Vivremo in modo speciale il nostro Cinquantesimo:

il 3 maggio 2008 alle 10,00 nel Duomo di Milano, con il cardinal Tarcisio Tettamanzi che ha invitato tutti i religiosi e le religiosi milanesi a celebrare insieme gli anniversari di Consacrazione a Dio

il 22 maggio 2008 a Nepi VT, 

in Casa Generalizia insieme 
 a Grugliasco in data da definire.